Il nuovo mondo. 26 marzo 2020
E’ un altro mondo quello che stiamo vivendo. E il mondo futuro sarà ancora diverso. I paradigmi stanno cambiando, dovremmo adattarci a vivere con stili e atteggiamenti diversi rispetto al mondo che abbiamo conosciuto. Forse abbiamo l’occasione per cambiare in meglio, ma non è scontato.
Forse siamo ancora tutti a chiederci: come è stato possibile arrivare fino a questo punto? E il dibattito impazza sui social. Già la rete! Una grande e straordinaria opportunità democratica. Così sembrava ai visionari della Silicon Valley, precursori, solo poco tempo fa, della creazione di un nuovo mondo (ancora un altro mondo rispetto a quello che le generazioni più attempate hanno vissuto). Precursori che si sono trasformati in imperi economici a volte minacciosi verso le libertà individuali.
Oggi abbiamo accesso a tutto, agli archivi digitali che offrono risposte a ogni domanda, subito, senza particolare sforzo o attesa. Oggi possiamo comunicare ogni nostra impressione o pensiero al mondo. Bello ma pericoloso. Molto facilmente circolano assurdità, false notizie, paure, violenza. Nella connessione globale, come per tutte le umane cose, è necessario saper scegliere, interpretare, studiare. Farsi una personale opinione basata il più possibile sulla logica e su dati oggettivi. Eh si! Un po’ di fatica ci vuole.
Cosa ci suggerisce la logica? Ci dice che le istituzioni, i governi, i politici che hanno il potere non hanno protetto i cittadini dal pericolo. Hanno permesso che ogni paese, ogni struttura di prevenzione e sanitaria, si trovassero nella condizione peggiore per poter far fronte alla nuova pandemia. Hanno ignorato qualsiasi azione che riducesse in maniera preventiva il pericolo, ed ora, nel mezzo del dolore per le migliaia di morti, ci costringono – purtroppo unica possibilità per salvare la pelle- in una dimensione irreale e innaturale per l’essere umano.
La comunità scientifica da decenni produce documenti sulla situazione sanitaria del pianeta legata alla proliferazione dei nuovi virus. Lancia allarmi preoccupati sull’evoluzione e sull’influenza che gli organismi patogeni hanno nei confronti della nostra specie e su quanto la nostra specie, grazie alle politiche dei governi, influisce sulla loro evoluzione.
La ricerca scientifica ha dato delle risposte al funzionamento dei meccanismi naturali e della vita sul pianeta, alcune, molte domande aspettano ancora una risposta, e certo non sarà possibile rispondere a tutto. Ha fatto passi da gigante nella cura delle malattie. La situazione sanitaria in molti paesi ha fatto sì che la speranza di vita aumentasse sempre di più. D’altro canto le modifiche introdotte dalla nostra specie nei confronti degli ecosistemi hanno comportato l’insorgere di drammatici effetti sull’equilibrio ambientale e sulla nostra vita e lo sviluppo di nuove e sconosciute malattie.
Gli agenti patogeni possono evolvere e divenire trasmissibili da una specie vivente ad un’altra. Quando un agente patogeno fa il salto da un animale ad un essere umano e si radica nel nuovo organismo siamo in presenza di un fenomeno definito zoonosi.
Ad esempio. Ebola è una zoonosi, come la peste bubbonica e l’influenza spagnola. Tutte derivano dall’azione di un patogeno capace di passare dagli animali all’uomo.
Tutte le zoonosi vengono trasmesse da 6 tipi di microrganismi: virus, batteri, funghi, protisti, prioni, vermi. I virus sono quelli dalla struttura più semplice e sono quelli che possono dare più problemi. Si evolvono con rapidità, non sono sensibili agli antibiotici, possono essere molto versatili e portare tassi di mortalità altissimi.
Il 1959 è l’anno della comparsa del virus Machupo e poi con frequenza impressionante: nel 1967 Marburg, nel 1969 Lassa, 1976 Ebola, nel 1981 HIV1, nel 1968 HIV2, nel 1993 Sin Nombre, nel 1994 Hendra, nel 1997 influenza aviaria, nel 1998 Nipah, nel 1999 febbre del Nilo Occidentale, nel 2003 Saars, nel 2009 influenza suina. Potremmo pensare che questa lista, forse un po’ incompleta, rappresenti un elenco di inevitabili e drammatici eventi non correlati, una serie di sfortunate coincidenze che hanno colpito buona parte della popolazione umana, ancorché in aree circoscritte, per imperscrutabili motivi: sono calamità naturali, dolorosi accidenti alla pari dei terremoti o eruzioni vulcaniche, di cui si possono forse minimizzare le conseguenze ma che rimangono inevitabili.
Ma non è così. Per niente. C’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, non si tratta di sporadici accidenti ma di conseguenze non volute che derivano dalle nostre azioni. Dalle azioni che scaturiscono dai nostri stili di vita e dalle decisioni degli stati, delle istituzioni e di chi governa il nostro pianeta. Dalla nostra impronta ecologica.
Sono lo specchio di due crisi planetarie: una ecologica e una sanitaria. Sommandosi le loro conseguenze si mostrano sotto forma di una sequenza di malattie nuove, strane e terribili, che emergono da ospiti inaspettati e che creano serissime preoccupazioni per il futuro dell’umanità.
Come fanno i patogeni a compiere il salto dagli animali agli uomini e perché sembra che ciò avvenga con maggiore frequenza negli ultimi tempi?
Le risposte:
- La devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni. Stiamo sbriciolando tutti gli ecosistemi e non è una novità recente.
- La nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato.
Le attività umane sono causa della disintegrazione di vari ecosistemi con una velocità impressionante. La deforestazione, la costruzione di strade e infrastrutture, l’aumento del terreno agricolo e dei pascoli, la caccia alla fauna selvatica, l’attività mineraria, l’aumento degli insediamenti urbani e il consumo di suolo, l’inquinamento, lo sversamento di sostanze organiche e inorganiche nei mari, lo sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche, il cambiamento climatico, il commercio internazionale di beni e tutti le attività dell’uomo che hanno conseguenze sul territorio.
L’uomo ha praticato gran parte di queste attività per molto tempo, anche se a lungo, ma con l’ausilio di strumenti molto semplici. Oggi però siamo 7 miliardi e 800 milioni (nel 1900 eravamo 1 miliardo e 650 milioni) e utilizziamo tecnologie raffinate il che rende il nostro impatto insostenibile.
Le foreste tropicali non sono l’unico ambiente in pericolo, ma sono di sicuro il più ricco di vita e il più complesso. Nelle foreste vivono milioni di specie, in gran parte sconosciute alla scienza, non classificate o a malapena etichettate e poco comprese.
Tra questi milioni di specie ignote ci sono i virus, batteri, funghi, protisti e altri organismi, molti dei quali parassiti. Un universo di viventi che gli specialisti chiamano virosfera che fa impallidire per dimensione ogni altro gruppo.
Molti virus, ad esempio, abitano le foreste dell’Africa centrale, parassitando (vivendo in) specifici batteri, animali, funghi o protisti e questa specificità limita il loro raggio di azione e la loro abbondanza. Quelli che abbiamo conosciuto per la diffusione delle epidemie e quelli che stiamo conoscendo sono un campione minuscolo di quello che offre il menu, della miriade di virus non ancora scoperti che in alcuni casi stanno quieti dentro ospiti a loro volta ignoti.
I virus riescono a moltiplicarsi solo all’interno delle cellule vive di qualche altro organismo, in genere un animale o una pianta con cui hanno instaurato una relazione intima, antica e spesso, ma non sempre, di mutuo soccorso. Nella maggioranza dei casi sono parassiti benevoli che non riescono a vivere fuori dal loro ospite e non fanno troppi danni. Ogni tanto uccidono una scimmia o un uccello qua e là, ma le loro carcasse vengono rapidamente metabolizzate dalla giungla. Gli uomini non se ne accorgono quasi mai.
Cosa succede oggi? Oggi la distruzione degli ecosistemi sembra avere tra le sue conseguenze la sempre più frequente comparsa di agenti patogeni in ambiti diversi da quelli originari e più vasti.
Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite animale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi. Dunque non ce l’hanno con noi, siamo noi ad essere diventati molesti, visibili e assai abbondanti.
Tutti questi fattori hanno portato non solo all’emergere di nuove malattie e di tragedie isolate ma a nuove epidemie e pandemie.
Il virus dell’AIDS (HIV 1 gruppo M; ma ne esistono altri 11 parenti) ha ucciso trenta milioni di persone dalla sua comparsa circa 30 anni fa e altri 40 milioni sono infetti. La storia di questo virus non inizia tra la comunità omosessuale americana nel 1981 o in qualche metropoli africana negli anni ottanta, ma cinquant’anni prima, alle sorgenti di un fiume nella giungla del Camerun sudorientale.
Da queste condizioni scaturiscono le malattie del futuro. Condizioni sulle quali i governi e gli stati, le istituzioni, hanno il dovere e l’obbligo di intervenire per mitigare gli effetti. Ma, finora, non lo hanno fatto.
Per scienziati ed esperti di sanità pubblica le malattie del futuro sono motivo di grande preoccupazione. Gli allarmi lanciati nel corso degli ultimi 50 anni restano inascoltati.
Cosi scrive David Quammen (divulgatore scientifico, scrittore, giornalista) nel suo lavoro Spillover. L’evoluzione delle pandemie, pubblicato nel 2012, da cui sono tratti i dati e parte delle argomentazioni che ho riportato.
Sì, nel 2012 avete letto bene. “Non c’è motivo di credere che l’AIDS rimarrà l’ultimo disastro globale della nostra epoca causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale. Qualcuno parla del Next Big One, (NBO) il prossimo grande evento, come di un fatto inevitabile. Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale? Farà trenta, quaranta milioni di vittime? La differenza con l’HIV potrebbe essere, per esempio, la velocità di azione: il nuovo virus potrebbe essere tanto veloce a uccidere quanto l’altro è relativamente lento. Gran parte dei virus nuovi lavorano alla svelta.”