Massacri, Israele a Gaza, novembre 2024
Pillole da Limes 9/24, La notte di Israele, editoriale La saggezza di Tucidide
- “Israele sta combattendo con successo la sua guerra di autodistruzione”, così l’ex generale dell’esercito israeliano Udi Dekel che aggiunge: “È evidente che la leadership israeliana vede all’orizzonte solo la guerra perpetua. Il conflitto in corso beneficia solo i nemici di Israele e si allinea alla strategia iraniana che promuove una guerra di attrito contro Israele fino al suo collasso finale» Netanyahu continua la rappresaglia senza limiti contro Gaza ed estesa a sempre nuovi fronti. La guerra perpetua eretta a plurimillenaria identità nazionale.
- Israele sopravvive alla giornata. Confida nelle bombe atomiche che non dichiara, nella potenza delle Forze di difesa (Idf), nelle supertecnologie e soprattutto nella protezione americana. Da tre generazioni gli israeliani vivono in lunghe tregue fra uno scontro e l’altro con nemici variabili. Mai in pace. Da due occupano territori strappati agli arabi nel 1967, dove si sono insediati mezzo milione di ebrei sponsorizzati dai vari governi, anche laici e di sinistra, onde stroncare l’ipotesi dei due Stati, ritornello delle anime belle.
- Il 7 ottobre è figlia del narcisismo di Israele. Gerusalemme immaginava che mantenere Ḥamās nella gabbia di Gaza a libro paga mensile con soldi qatarini trasferiti via Mossad e servizi egiziani fosse garanzia di tregua infinita. Tanto che nella zona del massacro restavano di guardia esigui drappelli di giovanissime reclute, per lo più soldatesse. Perché sprecarvi i migliori reparti, schierati in Giudea e Samaria a disposizione dei coloni? I gaziani erano presunti subumani, incapaci di sfidare Israele. Pregiudizio tragicamente smentito dall’incursione di migliaia di palestinesi a caccia di ebrei da catturare o trucidare.C’erano alternative alla strage di palestinesi che in poche settimane ha quasi cancellato il 7 ottobre nella comunicazione pubblica del resto del mondo, amici di Israele inclusi? Assolutamente sì.
- Testimoniate dagli scontri quasi fisici nel gabinetto di guerra, domati con caparbietà da Netanyahu, senza dubbio fra i più spregiudicati politici del nostro tempo. Per esempio, si sarebbero potuti anticipare gli assassinî mirati dei capi di Ḥamās e Ḥizbullāh, dopo aver stretto d’assedio Gaza, con incursioni di commando per salvare gli ostaggi e scompaginare Ḥamās. Penetrare nel Libano meridionale per disarmare Ḥizbullāh come prescritto dalla risoluzione Onu 1701. E scatenare la guerra civile a Beirut per scalzare il Partito di Dio, fratturando il corridoio imperiale persiano tenendo agganciati gli Stati arabi interessati ai patti di Abramo. Gerusalemme si sarebbe in tal modo garantita l’appoggio totale degli Stati Uniti, con europei a rimorchio. Invece Netanyahu si è dato mano libera per scatenare la guerra senza regole contro qualsiasi nemico conclamato o presunto, a partire dai civili palestinesi di Gaza, per spianare il terreno da occupare. E mai più abbandonare.
- Israele si dedica a massacrare decine di migliaia di gaziani in quanto «animali» (così l’ex ministro della Difesa, il moderato Yoav Gallant). Gaza va sigillata, distrutta e ripulita di ogni presenza «animale» sezione dopo sezione, da nord a sud. Agli abitanti si danno i dieci giorni per scegliere se arrendersi o morire di fame. Nella speranza che molti tra loro sfondino il muro egiziano a Rafaḥ e dilaghino nel Sinai. Qui Israele contribuirebbe a righettizzarli finanziando depositi di palestinesi affidati alla vigilanza del Cairo. Infine, la Stella di Davide risplenderà su Gaza riannessa, ricostruita e arricchita di basi militari. Danno collaterale: con queste stragi Israele si è garantito per generazioni leve di giovani terroristi/patrioti palestinesi assetati di sangue ebraico. C’è una ragione indicibile che spinge Israele a rischiare il sacrificio di sé. Il terrore della guerra civile. La guerra esterna serve quantomeno a rinviarla.
- Subito dopo il massacro attorno a Gaza Netanyahu ha respinto l’invito di Biden a «non ripetere i nostri errori», a respingere la tentazione della guerra al terrorismo in stile afghano e iracheno, da cui umiliazioni e crisi di credibilità. In attesa del cambio della guardia alla Casa Bianca, le relazioni fra Washington e Gerusalemme beccheggiano. In Israele vige sempre l’interpretazione che Moshe Dayan, l’eroe dei Sei giorni, amava dare del vincolo a stelle e strisce: «Gli americani ci offrono soldi, armi e consigli. Noi prendiamo i soldi, le armi e rifiutiamo i consigli». Comunque finisca, o peggio non finisca, questa guerra ci cambia la vita. La nostra incoscienza al riguardo è formidabile. Il mondo accelera intorno all’Italia, satellite fisso a vocazione codarda proprio mentre il nostro sole, gli Stati Uniti d’America da cui totalmente dipendiamo per sicurezza e difesa, si oscura.
- L’allegra passività con cui dopo la Prima Repubblica abbiamo rinunciato a qualsiasi visione strategica per votarci al gregariato – inutile per il sole, umiliante per il satellite – ci sta costando cara. Così possiamo solo subire, al massimo limitare i danni. Mentre i due incandescenti torrenti della Guerra Grande veloci scorrono dall’Ucraina e dal Medio Oriente verso lo Stivale per saldarsi in un cerchio di fuoco che destabilizza l’intera Eurasia occidentale, con riverberi mondiali. Eppure noi ci pensiamo villa nella giungla. Un giorno ci accorgeremo dei veleni che stiamo assimilando dal 7 ottobre. Sarà tardi. Il nuovo antisemitismo non si esaurirà con la sospensione dei massacri in corso. Né riguarderà solo gli ebrei. Fa già parte della miscela di paura, intolleranza e razzismo istintivo scatenata dalla brusca accelerazione della storia cui siamo del tutto impreparati. Dal suo impatto sul Belpaese, assuefatto a vivere in tempo separato, senza passato né futuro. Abbiamo rimosso la nostra condizione di ultima frontiera dell’Occidente, a ridosso di Caoslandia. Così ci finiamo dritti dentro. Vogliamo preoccuparcene? Se sì, battiamo un colpo. Per esempio. Se centinaia di migliaia di gaziani sopravvissuti alla rappresaglia di Netanyahu saranno scaraventati nel deserto egiziano o nel Mediterraneo per far posto a militari e nuovi coloni israeliani, scontato che alcuni punteranno alle nostre spiagge. Aspetteremo che ci affoghino davanti? Li trasferiremo in Albania per esser certi di non vederli? Escluso organizzarci per andarli a prendere, promuovendo una missione internazionale di volenterosi? La risposta a queste domande ci dirà molto su noi stessi.