Vaggi responsabili. Dicembre 2009

Vaggi responsabili. Dicembre 2009

Il turismo responsabile propone un modello di viaggiatore che assapora intelligentemente tutto quello che di vero ed autentico un territorio può offrire, il suo viaggiare va in profondità: approfondisce la conoscenza dei luoghi, delle genti e di tutto ciò che incontra e che sia culturalmente significativo.

Spesso, però, la maggior parte dei viaggi sono scanditi da tappe frenetiche e giornate piene, dove si corre per vedere il più possibile. Anche in quelli alternativi. E’ chiaro che il tempo a disposizione gioca sempre una parte importante. Ma credo, che per un vero arricchimento ed empatia con i luoghi, converrebbe vedere meno e viaggiare più lentamente, approfondire, appunto.

Si avverte oggi una sorta di dipendenza da viaggio, quasi una ossessiva ostentazione delle mete conquistate, quasi che l’unica dimensione alla quale aspirare sia quella dello stacco, della vacanza.

Il nostro modo di essere, l’equilibrio nella nostra vita, il processo di arricchimento e di individuazione personale (come lo chiama Jung) dobbiamo trovarlo anche e soprattutto nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni, nelle routine, e non solo in una dimensione affascinante e creativa che può essere rappresentata dal viaggio. Un atteggiamento che migliora anche il nostro modo di viaggiare e la nostra predisposizione verso tutto ciò che faremo o incontreremo durante quell’esperienza.

Penso che il viaggio, il contatto con luoghi e genti diverse, rappresenti una grande occasione di crescita, ma i modi, gli atteggiamenti e tutti quegli elementi che interagiscono durante le nostre esperienze di viaggiatori-turisti debbono aiutarci a non scadere in dimensioni che invece sono tipiche del turismo di massa, delle forme di fruizione tipiche della nostra società consumistica e globalizzante.

Siamo nel 1953, l’occidente inizia a viaggiare, e le forme di ostentazione riguardano i resoconti di viaggio. Guardate cosa scriveva Lévi-Strauss in Tristi Tropici : “…. Questo genere di racconti riscuote un successo che per me rimane incomprensibile. L’Amazzonia, il Tibet e l’Africa, invadono le vetrini sotto forma di libri di viaggio, resoconti di spedizioni e album di fotografie, dove la preoccupazione dell’effetto è troppo preponderante perché il lettore possa valutare la testimonianza che gli è offerta. Anziché una sollecitazione nel suo spirito critico, il lettore richiede sempre più questo genere di cibo e se ne ingurgita quantità prodigiose. E’ un mestiere oggi essere esploratori, mestiere che non consiste, come si potrebbe credere, nello scoprire, dopo uno studio prolungato, fatti rimasti ignoti, ma nel percorrere un numero considerevole di chilometri, raccogliendo immagini fisse o animate, grazie alle quali si possa per parecchi giorni di seguito affollare una sala di ascoltatori, a cui le cose più ovvie e banali sembreranno tramutarsi miracolosamente in rivelazioni per il solo motivo che l’autore, invece di complilarle senza muoversi, le avrà santificate con un percorso di ventimila chilometri…”

Il rischio è dunque quello di esagerare e perdere di vista l’obiettivo principale che è quello di un viaggiare responsabile e sostenibile.

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