Archivio. Aree protette. Arcipelago Toscano. Cosa chiedere ad un Parco, novembre 2001

Archivio. Aree protette. Arcipelago Toscano. Cosa chiedere ad un Parco, novembre 2001

Una gamma vasta e variegata di obiettivi, tutti stimolanti e appetibili di chi si vuol seriamente impegnare nella gestione delle aree protette. Le aree minerarie a ferro dell’Elba orientale, una delle attività tradizionali da riconvertire in senso turistico, un grande impegno nel risanamento ambientale, una intricata matassa di competenze da sbrogliare, ma per ora niente di concreto se non alcuni scimmiottamenti di cose che si fanno in altre zone con ricchezze minerarie e un patrimonio culturale notevolmente inferiore al nostro.

Il risanamento ambientale e il nuovo modello di sviluppo sociale per Pianosa, una sfida di grandi dimensioni, per ora perduta dietro alle beghe di bottega, di amministratori padroni, di sindaci incapaci e di un Parco equilibrista.

La protezione, la valorizzazione naturalistica e il turismo sostenibile nelle altre isole, il risanamento sociale di Capraia: pochi risultati, e opere in alcuni casi iniziate da altri come i finanziamenti LIFE della Regione Toscana.

E le questioni strutturali, per le quali si potrà obiettare il parco non ha competenza, ma dire questo per la gestione dei rifiuti, per l’approvvigionamento idrico e il ciclo delle acque, per i piani strutturali e gli strumenti urbanistici,  dire che un’area protetta su queste questioni non può giocare un ruolo fondamentale di indirizzo vuol dire nascondersi dietro un dito. Insieme agli altri soggetti competenti il parco deve avere un ruolo proposito e propulsivo per risolvere questioni drammatiche che sono ancora irrisolte, scandalosamente, basti pensare alla situazione elbana dei rifiuti, per la quale tutte le categorie produttive e i cittadini richiedono una soluzione che è ancora lontana. Ci si è consumati nella questione cinghiali, problema ereditato dal parco, grazie dall’assurda introduzione, spesso abusiva, di specie ibrida a partire dagli anni 60, che sta causando una completa distruzione del territorio e dei suoi valori colturali, con danni, oltre alle colture agricole, specie ai vigneti, all’intero patrimonio botanico dell’isola. Questione cinghiali; equilibrismi assurdi per accontentare i cacciatori senza tenere presente l’obiettivo principale: risolvere il problema. Questo, su di un’isola, ha un’unica via d’uscita, quella dell’eradicazione dei maiali distruttivi.

Certo il Parco non poteva, non può e non potrà (speriamo) fare tutto da solo, ha bisogno del concreto sostegno e della indispensabile collaborazione dei comuni e degli altri enti locali: ma può e deve essere il volano per tutti questi progetti e interventi, lo stimolo principale, il motore propulsore, senza i parchi, senza chi nei parchi lavora seriamente queste cose non si faranno mai.

Il Parco non ha voluto giocare questo ruolo, spaventato dalle responsabilità, nascosto dietro inutili operazioni di facciata e alcuni deboli interventi di propaganda, ripiegato su stesso nel confronto con gli enti locali, incartapecorito su contrasti interni tra presidenza e direzione che hanno rischiato di produrre l’immobilismo amministrativo e comunque hanno prodotto non pochi problemi di azione.

I cartelli ingialliti e sbiaditi, ormai non più leggibili, ai bordi delle strade, sono l’immagine specchio di un parco che sta esaurendo la sua iniziale carica positiva e propulsiva. Un merito, sicuramente, per i vertici, quello inzialmente di aver creato e dato al parco questa carica, di averla sostenuta per almeno un paio di anni. Ma progressivamente abbiamo assistito al logoramento del rapporto tra presidenza e direzione, ad una progressiva crisi di identità del consiglio e dei consiglieri, alla mancanza complessiva di una strategia. E’ problema che i Verdi, politicamente e in tempo utile hanno posto, ma non è stato colto da nessuno, è stato interpretato come una guerra interna, in una visione superata, legata a logiche di schieramento. Non esiste nessun complotto internazionale dietro questa legittima richiesta di ricambio ai vertici; essa rappresenta solamente il tentativo di fare il bene del parco, che non è “nè mio”, né di altri, né di coloro che ci lavorano quotidianamente, ma di tutti i cittadini dell’arcipelago e di tutta la collettività. Non ci si può nascondere dietro le enunciazioni di principio, dietro elenchi di delibere a giustificazione dell’azione e del ruolo del parco, mancano ancora molte cose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *