Archivio. Aree protette. Arcipelago Toscano, ottobre 2001

Archivio. Aree protette. Arcipelago Toscano, ottobre 2001

Dal momento della sua istituzione, dal primo consiglio dell’ente, dai commenti fatti nei suoi primi mesi di vita, nei primi incontri con le associazioni venatorie e le organizzazioni di categoria emerge chiaramente in leit motiv, un tormentone che verrà ripreso sempre in seguito e ancora oggi viene messo in rilievo: la revisione dei confini del parco. Da dove emerge quest’esigenza così diffusa in tutti, dal presidente ai consiglieri, dalle associazioni ambientaliste alle amministrazioni comunali, che si ritrova nei documenti e nelle delibere dell’ente, nelle indicazioni date all’equipe che sta lavorando al piano del parco e agli altri strumenti di pianificazione?

Questa richiesta coincide con la visione riduttiva e inadeguata del parco come vincolo e quindi: più territorio si riesce a sottrarre al parco più liberamente ci si può comportare, soprattutto ai fini edilizi e venatori; ma ogni soggetto che chiede questa cosa la concepisce in maniera diversa dagli altri.

Togliere dal perimetro del parco zone di scarso pregio ambientale e inserire aree rilevanti dal punto di vista naturalistico (questa è una delle enunciazioni di principio condivise da tutti, ma applicabile in maniera diversa in base al soggetto che formula la richiesta) non ha nessun significato nel quadro di una razionale gestione di un’area protetta che è caratterizzata, come nel nostro caso, da piccoli territori insulari e da alcuni tratti di mare circostante. Ha significato per assecondare le esigenze del mondo venatorio e di quello del mattone facile.

I confini attuali del parco, credo sia opportuno ricordare questo particolare che appartiene alla storia del parco ed è scritto nei documenti, sono il risultato della mediazione tra le istanze (ufficiali e ufficiose, spesso rese note attraverso ripetuti pellegrinaggi dei nostri politici tra Firenze e Roma) delle amministrazioni locali, le indicazioni della Regione Toscana, le proposte ministeriali e il quadro tecnico normativo. Dire che questa perimetrazione sia adeguata alle esigenze del territorio e che abbia accontentato la maggioranza del tessuto sociale delle isole sarebbe ovviamente falso. Ma è un dato di fatto che almeno in parte risponde alle richieste avanzate, anche attraverso proposte cartografiche, dalle amministrazioni comunali dell’Arcipelago. Spesso i tentativi di mediazione alla fine non accontentano nessuno. Sulla base della situazione ambientale e socio-economica di queste nostre isole avevo detto e scritto che l’unica perimetrazione possibile e utile sarebbe stata quella di inserire per intero tutto il territorio all’interno del parco, modulando le diverse esigenze territoriali, sociali e produttive, come prevede la legge, con il diverso grado di protezione inserito nella zonazione del piano del parco, ma soprattutto attraverso l’utilizzo delle aree contigue. Questo non si è potuto fare allora, ma è un passaggio che si può sempre percorrere. In termini più chiari: si possono tranquillamente fare aggiustamenti in diverse aree delle isole, inserendo e escludendo qualcosa, ma a patto che tutto ciò che rimane escluso dall’area parco vera e propria venga classificato come area contigua. Solo in questo modo sarà possibile utilizzare appieno gli strumenti di promozione economica e sociale di cui le aree protette dispongono, sarà possibile fare un piano del parco omogeneo ed equilibrato su tutto il territorio, sarà possibile trovare la giusta forma di intervento della pressione venatoria, concordando (nel quadro di un’attività venatoria al passo con i tempi) tra i diretti interessati, tempi, modi e forme di prelievo.

Oggi ogni amministrazione comunale chiede una revisione dei confini, chiede di mettere fuori dal parco alcuni pezzi del proprio territorio, nel quadro di una inadeguata visione dell’area protetta e della programmazione territoriale di cui dicevo sopra, ma anche in base ai risultati ed alle aspettative che alla fine, dopo scontri di piazza, contestazioni, battaglie verbali ed infinite discussioni durate oltre 10 anni, tutti riponevano e ripongono nel Parco dell’Arcipelago.

Purtroppo oggi, dopo alcuni anni, anche se il piano del parco e gli altri strumenti indispensabili debbono ancora vedere la luce e quindi solo allora il parco potrà dispiegare appieno la sua attività, molta della carica propulsiva si è andata esaurendo e molti treni sono partiti. Diventa quindi difficile continuare a sostenere la bontà delle aree contigue e di tutto ciò che concerne un’area protetta se quella area protetta è ingessata dalla burocrazia, dalle lotte ideologiche, e non vi è una strategia di fondo complessiva.

Vi sono alcun questioni che un’area protetta, inserita in un contesto così particolare come il nostro, deve affrontare e provare a trovare una sistemazione. Le attività tradizionali, prima di tutto. Due eccezionali opportunità, che permettono di avere un tessuto produttivo ricco di storia e di cultura, vero presidio territoriale: la pesca e l’agricoltura. Valorizzare queste attività, introdurre nuovi meccanismi produttivi, innescare processi che sono richiesti e attesi di chi vive e lavora in questi due settori. Il sindacato ha sostenuto attivamente la necessità di trovare forme di collaborazione con queste categorie produttive e di attivare i protocolli d’intesa locali e nazionale per mettere le gambe a quelle che ormai rimangono solo parole, ma ciò oltre alla buona volontà della CGIL, delle rispettive organizzazioni produttive e di pochi altri soggetti, non è stato possibile. Ed era ed è un fattore strategico anche per i confini: gli agricoltori, in un protocollo d’intesa di qualche anno fa, richiedevano a gran voce l’istituzione delle aree contigue, capendo che le aziende fuori dal perimetro del parco non avrebbero o avrebbero beneficiato solo in parte degli auspicabile e possibili incentivi inseriti nel quadro della valorizzazione delle attività agricole. Solo che nemmeno i progetti per gli incentivi sono arrivati.

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