Isola d’Elba, Rio Marina e le miniere. 28 agosto 2005.
Come è difficile sopportare ancora questo stato di insipienza politica, carenza progettuale e amministrativa che contraddistingue in questo inizio millennio i nostri uomini di governo e gli eventi che si succedono sulla nostra isola.
Due elementi di discussione, due questioni strategiche per lo sviluppo del nostro territorio. Il ripascimento della spiaggia di Cavo e il Villaggio Paese di Rio Marina.
Mai vicenda risulterà più ingarbugliata, controversa, lunga e complessa come quella del ripascimento di una spiaggia del versante orientale, l’unica lunga e sabbiosa del borgo marino di Cavo. O almeno era lunga e sabbiosa.
Eppure tutto cominciò con una semplice scelta, sicuramente fatta un buona fede, da parte di un’amministrazione comunale di sinistra. Esisteva sicuramente un problema di erosione del litorale, per cui la spiaggia negli ultimi anni si era ridotta in maniera considerevole, quasi non esisteva più. Divenne quindi indispensabile l’intervento dell’amministrazione comunale. Purtroppo si scelse il progetto sbagliato. Enormemente sbagliato. Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova proposta di intervento, il cui iter è già stato definito e concluso.
Ma da più parti emergono perplessità e critiche. Il tessuto economico cavese è stato messo in ginocchio dalla prima scellerata azione sulla spiaggia ed ora le aspettative sono molte, e l’attesa per vedere le cose migliorare deve finire.
Purtroppo il rischio è che il rimedio possa essere peggiore del male. La sinistra ha commesso un errore madornale nel voler perseguire un intervento senza avere adeguate progettazioni e tecnici adatti. Ora una nuova coalizione guida il comune che comprensibilmente vuol dare una risposta concreta alle aspettative della gente di Cavo; la Provincia è governata ancora dalla Sinistra che proprio in questo momento deve avere il coraggio di guardare nel merito del progetto che si vuol iniziare, capire se i tecnici hanno seguito le giuste indicazioni, cambiare, se è necessario cambiare, modificare e migliorare.
Basta con la superficialità e l’improvvisazione. Vi erano due ipotesi per risolvere il problema del ripascimento sbagliato e delle sue conseguenze. La prima; un intervento veloce, dove approfittando si mette mano anche all’allargamento della strada lungomare, con creazione di una passeggiata, servizi, parcheggi e quanto serve alle necessità e alle richieste della fruizione turistica balneare. La seconda; un vero e proprio progetto di risanamento ambientale secondo i canoni dell’ingegneria naturalistica. Questo sarebbe più impegnativo e lungo. Inutile dire che la scelta è stata per la prima via. Ovviamente non ci troviamo più nella Cavo degli anni 50, dove la spiaggia conserva ancora il sistema dunale, gli interventi hanno irrimediabilmente compresso l’equilibrio ambientale e ci troviamo di fronte ad un litorale artificiale.
Considerato che la spiaggia è un sistema dinamico che obbedisce ancora alle dinamiche naturali sarebbe stata una bella sfida, capire, compatibilmente con le condizioni attuali, se fosse stato possibile intervenire con un progetto di risanamento ambientale.
Ma ci troviamo di fronte a questo tipo di progettazione e non è consigliabile rinviare ancora l’intervento. Forse il buon senso suggerisce di evitare contrapposizioni ideologiche, migliorare, dove possibile il progetto, anche con cambiamenti sostanziali e iniziare prima possibile i lavori per ridare a Cavo una spiaggia ed un lungomare degni di questo nome.
Altrettanto complessa e lunga la vicenda del villaggio paese. Chissà chi avrà trovato questo nome assurdo, improponibile come l’intervento che si vuol realizzare nel vecchio luogo della ex laveria pirite. Certo come afferma il consigliere comunale Lucia Fasola, discutere di questo significa fare un bilancio di quello che quest’entità virtuale, cioè il Parco Minerario ha realizzato in questi anni.
La risposta è fin troppo facile. Poco, pochissimo, niente in confronto alle potenzialità del patrimonio delle ex miniere. Incredibilmente la sinistra locale ha continuato in questi 20 anni a sostenere e supportare un progetto assurdo e devastante, un ulteriore intervento che distruggerà ambiente, territorio, storia e cultura della terra di Rio. E non risolverà, anzi aggraverà, i problemi economici del versante e del capoluogo. Incredibilmente la sinistra ha continuato a supportare il Parco Minerario nei progetti sbagliati e negli uomini inadeguati in relazione alle scelte e alle sfide che i tempi imponevano e impongono. E’ necessario cambiare uomini e invertire di 360° rotta. Sul villaggio paese e sul parco minerario. Rio e la sua terra, sono oggi una specie di riserva indiana, diversa dal resto dell’isola e continueranno ad esserlo se si persevererà nelle scelte sbagliate. Se si continueranno a distruggere le spiagge anziché recuperarle, se si continueranno a costruire assurdi mega complessi turistici giustificabili solo in una logica speculativa nuda e cruda che mal si sposa all’isola e a quello che un Parco Nazionale con un patrimonio geologico e mineralogico (uno dei 9 siti di importanza mondiale secondo la Lista delle emergenze geologiche dell’Unesco) unico al mondo può esprimere.
Sulla collina delle vecchia laveria pirite oggi insistono manufatti arrugginiti, ma aggiungo … non erano arrugginiti qualche anno fa e che qualcuno ha colpevolmente ridotto in tale stato ed stato responsabile e complice del depauperamento di quell’enorme patrimonio storico e culturale come chi si è svenduto e venduto per pezzo per pezzo i reperti della miniera, dalle locomotive, agli attrezzi, ai minerali.
Su quella collina vogliono vomitare circa 45.000 mc di cemento. Eppure averla vista quando funzionava, anche per chi aveva un’anima ambientalista e poco tecnologica, la Bisarca era incredibilmente affascinante. Una gigantesca macchina che viveva e respirava come in una visone futuristica di Marinetti, o in un quadro o una scultura di Boccioni. Avevo sperato intensamente che si potesse conservare, che potessi io stesso tornare a visitarla quando volevo in futuro, quasi a renderle omaggio per quello che aveva fatto in tutti quegli anni insieme a quegli uomini incredibili che la nutrivano con il grasso posto sugli ingranaggi, con le loro cure, la loro assistenza. Perché come in un incendio senza fine, funzionava, funzionava sempre, non si spegneva mai. E questa non è una visone poetica della realtà, o un interpretazione incline ad una bucolicità perduta. Su quella collina c’era davvero una piccola città industriale e c’erano davvero degli uomini che vivano con lei dedicandole, come si dice, lacrime e sangue, gioie e dolori.
Tante volte ho percorso quella strada che dalla fine del paese conduce alla Bisarca, sotto il solo cocente dell’estate, per portare il convio spesso lasciato a casa al genitore minatore e servo della grande miniera; una strada interminabile, così sembrava a quel bambino, che mi portava da quegli uomini giganteschi e muscolosi, sempre pronti ad un complimento, sempre curiosi e inclini al divertimento. Era la loro vita, e lì alla Bisarca avevano pian piano costruito il loro presidio, il dispensario, la cucina, i bagni, l’officina, gli spogliatoi.
E poi l’immensa ragnatela di nastri, in una onirica visione escheriana, che si rincorrevano trasportando negli immensi capannoni in ogni direzione il prezioso ferro che finiva sull’ultimo nastro della caricazione e da qui nelle stive dei Brick (erano dodici navi dal Primo al Dodicesimo) che faceva la spola tra l’isola di inestausi metalli e i poli siderurgici del continente.
Ritornano quei momenti passando vicino alle miniere, quando ti penetra nel naso l’odore forte dello zolfo ed ecco l’epifania che ti vedere i volti, i gesti, e ti fa riascoltare quelle voci che accarezzavano la mente e il cuore. E così forse su quella collina non sentiremo più quell’odore, ma la fragranza degli olii abbronzanti, l’odore della gioia virtuale di vivere del turismo e delle vacanze, incarnata nella falsa realtà degli stereotipi della società dei consumi.
Chi farà accadere tutto ciò sarà responsabile oggettivamente e moralmente della distruzione dei valori storici, culturali, sociali, delle emergenze architettoniche e del patrimonio archeominerario. E sarà responsabile della definitiva distruzione delle potenzialità culturali, scientifiche, ambientali ed economiche che il comprensorio riese ancora possiede. Spesso i verdi hanno preso posizione su questo comprensorio, forse le nostre posizioni sono state poco lette o valutate. Non ci immaginiamo, come afferma qualcuno, magari non indigeno, una riserva indiana popolata di indigeni di interesse etnologico.
Ci immaginiamo uno sviluppo qualitativo. Non ci immaginiamo un’espansione tentacolare di strutture ricettive, di residence o di cose molto brutte come i misteriosi villaggi paese. Ci immaginiamo solo un paese, con una grande tradizione culturale e storica che recupera il proprio patrimonio culturale, urbano e urbanistico che lo migliora e, in questo caso sì, lo espande anche (gli alberghi servono in paese). Una paese che recupera la sua tradizione marinara con un porto turistico dotato di servizi e infrastrutture. Ci immaginiamo un paese con un grande museo mineralogico e con il parco delle miniere fatto di emergenze architettoniche, di vecchi impianti recuperati ad una moderna fruizione didattica e magari con la collina della Bisarca ancora a raccontare le storie dei minatori