Transizione ecologica e ferrovie senza treni e ospedali senza infermieri
Leggendo alcuni quotidiani e settimanali, ascoltando in rete e sui talk show opinioni e commenti, viene un po’ di sconforto.
In Italia si scontano i ritardi sugli obiettivi che tutti i paesi si sono dati inserendoli in strumenti di programmazione e governance condivisi e approvati nelle sedi internazionali.
Parliamo dell’Agenda 2030. E’ una sfida globale: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità; è stata sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU.
Prevede il raggiungimento di 17 obiettivi inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
Non credo, vista l’evoluzione dell’Agenda, che tutti gli obiettivi potranno essere raggiunti, anche se così fosse, l’auspicato raggiungimento non risolverà tutti i problemi, potrebbe rappresentare però una buona base da cui partire per costruire un mondo diverso.
I 17 obiettivi riguardano e coinvolgono tutti i Paesi del pianeta e le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e cultura.
Prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile:
- economica
- sociale
- ecologica
e mirano a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani e a porre fine:
- povertà,
- ineguaglianza
- cambiamenti climatici
Questi i 17 obiettivi
- Sconfiggere la povertà
- Sconfiggere la fame
- Salute e benessere
- Istruzione di qualità
- Parità di genere
- Acqua pulita e servizi igienico-sanitari
- Energia pulita e accessibile
- Lavoro dignitoso e crescita economica
- Imprese, innovazione e infrastrutture
- Ridurre le disuguaglianze
- Città e comunità sostenibili
- Consumo e produzione responsabili
- Lotta contro il cambiamento climatico
- Vita sott’acqua
- Vita sulla Terra
- Pace, giustizia e istituzioni solide
- Partnership per gli obiettivi
Purtroppo nell’ormai noto Piano di Ripresa e Resilienza Pnrr, il documento che dovrebbe consentire all’Italia di utilizzare i 200 miliardi messi a disposizione, in seguito alla pandemia, dall’Unione Europea con il Recovery Plan, non vi è alcuna connessione all’agenda 2030.
Forse sarà anche per questo, ma non solo, che l’Italia ha raggiunto solo 13 dei 51 obiettivi da centrare entro fine anno per ottenere la seconda trance di 24 miliardi. Purtroppo è un film già visto. L’affannosa rincorsa al raggiungimento formale degli obiettivi servirà a spendere presto e male la valanga di miliardi europei rischiando di lasciare intatti i veri problemi del paese.
Questa è, per il nostro paese, la suddivisione delle risorse in base alle mission definite dall’Europa: rivoluzione verde e transizione ecologica disporranno di 68,6 miliardi; infrastrutture per una mobilità sostenibile potranno contare su 31,4 miliardi; istruzione e ricerca conteranno su 31,9 miliardi; parità di genere, coesione sociale e territoriale di 22,4 miliardi; salute di 18,5 miliardi.
Il PNRR si articola appunto in 6 Missioni
- digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura;
- rivoluzione verde e transizione ecologica;
- infrastrutture per una mobilità sostenibile;
- istruzione e ricerca;
- inclusione e coesione;
- salute
La scommessa è grande e in particolare sulla seconda missione. Purtroppo il Piano si limita ad una sommatoria di interventi senza una visione e strategia complessive. In questo senso manca clamorosamente la complementarità con Agenda 2030.
Ma anche la terza missione presenta una forte criticità. Si intendono investire i fondi in nuove infrastrutture privilegiando le linee ferroviarie. Bene. Purtroppo si punta pesantemente su linee di alta velocità (270 km di binari), senza tener conto che su tali linee i viaggiatori sono 170.000 mentre quelli su tram e metro sono 6 milioni. E non ci si pone il problema di come finanziare la realizzazione dei mezzi di trasporto che dovranno essere utilizzati su di esse e sulla tipologia della loro propulsione.
La quinta missione prevede anche interventi per le politiche di attivazione al lavoro. Qui esiste il grosso scoglio del dissennato modello dei centri per l’impiego. Governati dalle regioni, scontano la mancanza di una vera governante e si sommano alle criticità che vengono dall’assenza di percorsi di formazione strutturati per rispondere alle esigenze delle imprese. Fioriscono corsi inutili che vengono comunque finanziati perché non esistono alternative.
La sesta missione è destinata alla salute. Si realizzeranno 1.350 presidi territoriali e 381 nuovi ospedali: un gigantesco investimento edilizio che se non sarà accompagnato dall’assunzione (nel piano non ci sono queste risorse) di almeno 40.000 unità di personale infermieristico e medico sarà totalmente inutile.