Afghanistan agosto 2021. L’occidente rimuove guerra e occupazione militare
L’occidente rimuove guerra e occupazione militare. In questi giorni i governi occidentali, Biden per primo, usano altri termini: vendetta, tradimento, disfatta, disastro, caos.
Gli effetti collaterali di una cosa che comunque la si metta si chiama guerra viene rilanciata con “scusate ma era necessario per colpire il terrorismo”.
Cosi le vittime civili e la rabbia popolare sono state gestite dai talebani. Vendetta quindi per colpire le menti della strage dell’aeroporto di Kabul del 26 agosto, stesso termine usato per giustificare la guerra del 2001.
Quindi la ragione vera dell’intervento Usa è la vendetta e non la costruzione della democrazia. Ma non è questo il vero tradimento dei valori occidentali? Pensare che con una guerra si possa esportare la democrazia.
L’Iraq dopo due interventi militari devastanti è stato lasciato in una guerra civile strisciante e nella povertà, abbiamo usato i jihadisti per abbattere Gheddafi, poi li abbiamo riciclati, per poi destabilizzare la Siria, ridotta in cenere abbandonando i curdi e alla fine i responsabili del caos sarebbero i talebani?
E la vergogna dei profumi afghani? Sono stati scoperti adesso? Da anni sono milioni, tanti uomini e donne afghani, bambini, in fuga dalla guerra, dai talebani, certo, ma anche dalle bombe Nato; abbiamo intravisto le loro ombre nella rotta balcanica, esternalizzando le loro vite alla Turchia o al Pakistan pronti a rimpatriarli, negando fino all’ultimo il diritto di asilo, perché ormai l’Afghanistan, come la Libia era un posto sicuro. Ed è quanto mai necessario, -vedi la foto relativa alla sbarco di 539 persone il 28 agosto 2021, provenienti da Bangladesh, Marocco, Siria, Yemen, Eritrea, Palestina, Nigeria, Ghana, Algeria, una torre di babele che aveva i segni di ferri incandescenti applicati sulla pelle, cicatrici di colpi di arma da fuoco e ustioni di vario tipo- accendere una volta per tutti i riflettori sugli “altri Afghanistan” e garantire a tutti i corridoi umanitari gestiti dalle istituzioni umanitarie
Ora c’è l’esodo, la fuga da Kabul , ma i semi di un’altra guerra sono stati gettati. E l’Italia c’è dentro.
Spendiamo oltre 70 milioni di euro al giorno di armi e per la difesa per un ammontare di 26 miliardi all’anno, guideremo la missione Nato in Iraq, stiamo aprendo una base militare in Mali, sostituendo la Francia in fuga dal Sahel.
C’è una parola quanto mai drammaticamente attuale in questi giorni legata alla scomparsa di Gino Strada. Pace. O meglio “essere contro la guerra”. Nella sconfitta di chi ha voluto la guerra impariamo a leggere anche la sconfitta di chi non l’ha saputa fermare.
Approfondimenti
La strage dell’aeroporto. Ma cos’è l’ISIS-K? La divisione afghana dello Stato Islamico responsabile dell’attentato a Kabul è nata diversi anni fa: è nemica dei talebani e di al Qaida, oltre che dell’Occidente L’ISIS-K (o ISKP, o Provincia del Khorasan dello Stato Islamico) è infatti presente in Afghanistan da diversi anni, e si è reso responsabile di gravissimi attentati.
Potrebbe sembrare strano, o contraddittorio, che un gruppo sunnita, jihadista e terroristico (l’ISIS) faccia un attentato contro i civili di un paese che oggi si trova sotto il controllo di un altro gruppo sunnita e fondamentalista (i talebani), molto vicino a un’organizzazione terroristica anch’essa sunnita (al Qaida).
L’inimicizia tra le due fazioni, però, non è una cosa degli ultimi giorni: va avanti da tempo e si inserisce nella più ampia rivalità tra organizzazioni terroristiche – al Qaida e ISIS principalmente – per la supremazia del mondo jihadista. È importante saperlo, perché i rapporti tra questi gruppi potrebbero condizionare il prossimo futuro dell’Afghanistan.
L’ISIS-K fu fondato di fatto nel 2014 da qualche centinaia di talebani pakistani che trovarono rifugio poco al di là del confine, in Afghanistan, dopo essere fuggiti da alcune offensive militari compiute dalle forze di sicurezza pakistane. Il ruolo di leader fu assunto dal pakistano Hafiz Saeed Khan, che era un membro di Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP), cioè i talebani pakistani, e che poi divenne il primo “emiro” dell’ISIS-K.
Nell’ottobre di quell’anno Khan, insieme ad altri importanti membri del suo gruppo, decise di prestare giuramento di fedeltà a Abu Bakr al Baghdadi, allora leader dell’ISIS, in un momento in cui l’ISIS stava emergendo come forza dominante all’interno del mondo jihadista globale. Nel 2015 l’ISIS accettò di riconoscere ufficialmente l’“affiliazione” del gruppo di Khan, che divenne così l’ISIS-K, dove “K” sta per Khorasan, cioè il nome della regione storica che include parti dell’attuale Pakistan, Iran, Afghanistan e Asia Centrale.
L’obiettivo dell’ISIS-K è quello di fondare un califfato nell’Asia meridionale e centrale, su cui imporre un’interpretazione estremamente rigida della sharia, la “legge islamica”, così come aveva fatto il gruppo principale in Siria e in Iraq.
L’iniziale crescita del gruppo fu facilitata certamente dai legami e dalle reti di amicizie che Khan e gli altri membri dell’ISIS-K avevano messo in piedi nel corso degli anni. Diversi importanti esponenti dello Stato Islamico iniziarono inoltre a rifugiarsi in Afghanistan quando, a partire dal 2015, l’ISIS cominciò a perdere terreno sia in Siria che in Iraq.
L’ISIS investì un bel po’ di soldi nella sua divisione afghana, trasferendo diverse centinaia di migliaia di dollari per migliorare la sua rete in Asia Centrale. Nonostante il reclutamento di nuovi membri, e l’arrivo dei finanziamenti, l’ISIS-K rimase per anni un gruppo di limitato rilievo in Afghanistan, anche a causa degli arresti dei suoi membri e degli attacchi aerei mirati contro la sua leadership compiuti dalla coalizione militare guidata dagli Stati Uniti. Nel giro di pochi anni, i bombardamenti occidentali uccisero cinque capi consecutivi del gruppo, i cosiddetti “emiri”, tra cui Hafiz Saeed Khan.
C’era poi un altro fattore che aveva limitato il successo dell’ISIS-K: incontrò molta ostilità soprattutto nelle zone in cui i talebani afghani erano più forti, dove i due gruppi si scontrarono apertamente in diverse occasioni.
I motivi della rivalità erano tra le altre cose legati alle differenze ideologiche. Mentre i talebani puntavano alla creazione di un loro emirato all’interno dei confini afghani, l’ISIS-K aveva l’obiettivo di fondare un Califfato esteso all’Asia centrale e meridionale; inoltre, per i membri dell’ISIS-K l’interpretazione della sharia da parte dei talebani non era sufficientemente rigida: i primi chiamavano i secondi “apostati” e “cattivi musulmani”, sostenendo che volessero tradire il jihad, la guerra santa.
La rivalità tra talebani e ISIS-K era inoltre alimentata dalla vicinanza dei primi con al Qaida, nemica giurata dell’ISIS da sempre. Questa inimicizia si era vista in particolare durante la guerra in Siria, quando i due gruppi si erano combattuti apertamente e duramente.
Dopo essersi molto indebolito – fu cacciato dalle province afghane di Nangarhar e Kunar e costretto a operare per lo più in piccole cellule distribuite sul territorio. La sua “rinascita” fu aiutata dall’arrivo di un nuovo leader forte e ambizioso, Shahab al Muhajir, e ancora una volta dal flusso di miliziani dall’estero, in particolare da Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan, attirati dalla promessa di una nuova campagna terroristica contro i talebani, il governo afghano e gli americani, e dalle defezioni della cosiddetta Rete Haqqani, che negli anni precedenti aveva sviluppato molta esperienza nella guerriglia urbana e aveva compiuto diversi attentati assai sofisticati a Kabul.
L’arrivo di nuovi membri fu favorito anche dall’avvio dei negoziati di pace che i talebani intrapresero con gli Stati Uniti di Donald Trump, che culminarono con l’accordo firmato nel 2020 che sanciva il ritiro completo delle truppe americane dall’Afghanistan.
Molti talebani non erano contenti dei negoziati, perché pensavano che i colloqui di pace avrebbero costretto il loro gruppo a fare concessioni in un momento in cui si sentivano forti militarmente: pensavano cioè di poter vincere da soli, e diversi si unirono all’ISIS-K. Però gli Stati Uniti accettarono di ritirare le loro truppe senza ottenere praticamente nulla in cambio, solo la vaga promessa che i talebani non avrebbero più dato protezione ad al Qaida, come invece avevano fatto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila.
La retorica usata allora dall’ISIS-K per favorire il reclutamento – cioè che i talebani fossero così moderati da sedersi allo stesso tavolo dei negoziati con gli americani – è la stessa emersa nelle ultime ore, dopo l’attentato a Kabul, quando l’ISIS ha descritto i talebani come collaborazionisti nei confronti degli Stati Uniti e degli afghani che negli ultimi anni avevano collaborato con l’Occidente.
L’attentato all’aeroporto di Kabul, il più grave che ha colpito i soldati americani negli ultimi 10 anni, sarà probabilmente presentato come una «grande vittoria» da parte dell’ISIS-K. E’stato l’ultimo, e il più grave, di una serie di attentati particolarmente violenti compiuti dall’ISIS-K negli ultimi anni in Afghanistan e Pakistan, che hanno colpito anche scuole femminili, ospedali e reparti di ostetricia. Secondo un rapporto dell’ONU del mese scorso, oggi l’ISIS-K avrebbe tra i 500 e i 1.500 miliziani in Afghanistan e sarebbe riuscito a rafforzare la propria presenza attorno a Kabul.
Le intelligence occidentali hanno rilevato che gli attacchi potrebbero non essere finiti, soprattutto ora che gli Stati Uniti e gli altri paesi coinvolti nella missione NATO stanno lasciando del tutto il paese e non potranno più fare affidamento come prima né sulla raccolta di informazioni di intelligence, né sugli attacchi aerei mirati. Per quanto riguarda invece i complessi rapporti tra talebani, ISIS-K, al Qaida, Rete Haqqani e gli altri gruppi jihadisti della regione, si dovrà aspettare per vedere che succederà.
Cos’è lo Stato Islamico o Daesh. Lo Stato Islamico è il nome che si è dato ad un’organizzazione jihadista salafita attiva in Siria e Iraq, dove fino al 2017 controllava militarmente un ampio territorio. Il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi ha proclamato la nascita di un califfato nei territori caduti sotto il suo controllo in un’area compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale il 29 giugno 2014.[
Nonostante questo gruppo dichiari di fondarsi sulla religione Islamica sunnita, molti leader del mondo islamico hanno sostenuto l’illegittimità della proclamazione e il contrasto dell’ideologia del gruppo con la dottrina religiosa.
Prima di tale proclamazione il gruppo si faceva chiamare “al-Dawla al-Islāmiyya fī l-ʿIrāq wa l-Shām”ovvero Dāʿish o Daesh), tradotto in italiano come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.
Le origini del gruppo risalgono ad “al-Qa’ida in Iraq” (2004–2006), poi rinominata “Stato Islamico dell’Iraq” (2006–2013), fondata da Abu Muṣʿab al-Zarqāwī nel 2004 per combattere l’occupazione statunitense dell’Iraq e il governo iracheno sciita sostenuto dagli Stati Uniti d’America dopo il rovesciamento di Saddam Hussein.
Nel 2013 lo Stato Islamico dell’Iraq ha proclamato unilateralmente la propria unificazione con la branca siriana di al-Qaeda, che aveva conquistato una parte del territorio siriano nell’ambito della guerra civile contro il governo di Baššār al-Asad. In seguito a questo contrastato annuncio il gruppo, scelta come propria capitale la città siriana di Raqqa, ha cambiato nome in Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS).
Nel 2014 l’ISIS ha ampliato il proprio controllo in territorio iracheno (con la presa in giugno di Mosul), adottando il nome attuale e proclamando la nascita del “califfato” il 29 giugno 2014.
Le rapide conquiste territoriali dell’ISIS hanno spinto l’Iran e i suoi alleati regionali, che già combattevano il gruppo in Siria, a moltiplicare i loro sforzi in Iraq a partire da giugno 2014 attraverso l’invio di armi, consiglieri militari e truppe di terra. Anche gli Stati Uniti e altri Stati occidentali e arabi intervengono militarmente contro l’ISIS, con invii di truppe e bombardamenti aerei in Iraq da agosto 2014 e in Siria da settembre 2014.
Dapprima alleato di al-Qā`ida, l’ISIS di se ne è definitivamente distaccato nel febbraio 2014, diventandone il principale concorrente per il primato nel jihad globale.
Così, a partire dall’ottobre 2014, altri gruppi jihadisti esterni all’Iraq e alla Siria hanno dichiarato la loro affiliazione all’ISIS, assumendo il nome di “province” (wilāyāt) dello Stato Islamico: tra queste, si sono particolarmente distinte per le loro attività la provincia del Sinai, attiva nella regione egiziana del Sinai, e le province libiche di Barqa e di Tripoli, attive nel contesto della seconda guerra civile libica.
L’ONU e alcuni singoli Stati hanno esplicitamente fatto riferimento allo Stato Islamico come a un’organizzazione terroristica, così come i mezzi d’informazione in tutto il mondo.
Numerosi media e personalità politiche hanno espresso dubbi sul modo più opportuno di fare riferimento all’organizzazione, temendo che utilizzare il nome “Stato Islamico” potesse in qualche modo contribuire alla sua legittimazione. Si sostiene inoltre che il nome “Stato Islamico” non sia adeguato perché il gruppo “non è né islamico, né uno Stato”.
La propaganda dell’Isis-K non riguarda solo la cooperazione dei taliban con gli Stati Uniti e i paesi occidentali. C’è anche una fondamentale dimensione cinese. Soprattutto negli ultimi mesi, l’organizzazione salafita ha dipinto i taliban come un agente di prossimità della Cina, accusandoli di prevenire attacchi terroristici contro la Repubblica Popolare e soprattutto di reprimere le attività dei propri membri in Afghanistan su richiesta di Pechino.
Con l’obiettivo tattico di erodere il consenso dei nuovi padroni di Kabul. E con l’obiettivo strategico di dimostrare l’incapacità dei guerriglieri pashtun di controllare il territorio, dunque di impedire che riescano ad affermare e radicare la propria sovranità sull’intero Afghanistan. Attentati come quelli andati in scena il 26 agosto all’aeroporto di Kabul servono principalmente a questo.
Foto da Limes; testi rivisti e commentati da Tommaso di Francesco, il Manifesto 29 agosto 2021; Daniele Santoro, Limes, agosto 2021; Elena Zacchetti, il Post, agosto 2021