Afghanistan e i corpi che cadono nel vuoto

Afghanistan e i corpi che cadono nel vuoto

Epilogo prevedibile e tragico di una guerra di vent’anni. Ultimo atto: esseri umani che sfidano il destino sapendo di essere arrivati alla fine della loro vita. È sicuro che non ce la farai, non hai speranze di restare vivo, nessuna.

E’ andare contro la regola cardine del codice genetico: conservare la vita a ogni costo.

Ti butti da un grattacielo in fiamme, sapendo che nessun angelo verrà a prenderti mentre precipiti, oppure ti aggrappi al carrello di un aereo in decollo con la certezza che le tue mani non potranno reggere.

Karl Marx afferma che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa.

Nelle immagini che rimbalzano in questi giorni sui media la storia che si ripete è però la replica della tragedia

Le ombre delle persone che si lanciarono dalle Torri Gemelle si sovrappongono plasticamente a quelle dei corpi in caduta libera dalla carlinga di un grande aereo, grande come quelli che sventrarono New York.

Centro di Manhattan, 11 settembre 2001; aeroporto Hamid Karzai di Kabul, 16 agosto 2021. Vent’anni quasi esatti.

In una delle sue ultime interviste, nel maggio 2021 a Presa diretta, il fondatore di Emergency, Gino Strada: «Gli americani se ne vanno con una sconfitta, dopo aver speso più di 2 mila miliardi di dollari, e i talebani sono ancora lì. Gli afghani intanto sono più poveri del 2001, hanno avuto 4 milioni di profughi, un quarto della popolazione, più 150 mila morti, in prevalenza civili. Non si è speso per ricostruire un Paese ma per continuare una guerra. A cosa è servito? Zero». Gino, non ha visto gli afghani precipitare nel blu ma non ne sarebbe stato sorpreso.

I territori contesi o discussi sono sempre gli stessi. I grandi attori hanno cambiato volto e nome. I giochi di potere della diplomazia imperialista rappresentano l’antefatto degli avvenimenti di oggi in Asia.

Nel novembre 2008 esce il lavoro di Ahmed Rashid, dove si legge: … L’assassinio della leader pakistana Benazir Bhutto nel 2007 è solo l’inizio della discesa nel caos. Sull’orlo del precipizio è ormai un’intera regione dell’Asia, che dal confine indiano si estende fino all’Afghanistan, all’Iraq e alle piccole repubbliche centroasiatiche nate dalla dissoluzione dell’impero sovietico: un’area decisiva dal punto di vista strategico ed economico. L’intervento americano e occidentale successivo all’11 settembre avrebbe dovuto riportare ordine nella regione. Invece gli Stati Uniti si sono limitati a rovesciare il regime talebano in Afghanistan senza preoccuparsi di mettere in opera una vera azione di ricostruzione nazionale, capace di far emergere una società civile in grado di offrire corpo e anima a un reale progetto democratico. Oggi questo errore gravissimo si riverbera sull’intera area centroasiatica, con particolare evidenza in Afghanistan prima di tutto, in Iraq e nella polveriera pakistana.

Carlo Verdelli, Afghanistan, i corpi che cadono nel vuoto, Corriere della Sera, 17 agosto 2021

Peter Hopkirk, Il Grande Gioco, Adelhi, 1990

Ahmed Rashid, Caos Asia, Feltrinelli, 2008

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *