Senegal e Philo
Senegal 18 maggio 2016
Philo, così con un nome, si può riassumere la mia esperienza in Senegal. La sua multiforme personalità, la sua competenza e professionalità, il suo amorevole buon senso, il suo volto bellissimo, il suo fisico slanciato e la sua profonda umanità rappresentano il condensato del bello e del buono che questo paese può esprimere.
Oggi i postumi del colonialismo sono finiti? Forse. Molte potenze occidentali si vantano dei sistemi democratici che applicano in patria, dimenticandosi delle terre che per secoli hanno sfruttato.
La Francia ad esempio è riuscita a mantenere di fatto la completa dipendenza economica di Bénin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo grazie all’unità monetaria utilizzata in questi paesi, il franco CFA il franc des colonies françaises d’Afrique. La moneta in vigore dovrebbe essere rimpiazzata da una nuova moneta, l’Eco. Dopo un lungo negoziato, anche il governo francese ha accettato la riforma il cui punto saliente stabilisce che la Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (Bceao) d’ora in poi non dovrà più depositare la metà delle sue riserve di cambio presso la Banque de France: un obbligo estremamente penalizzante per le singole economie degli stati, umiliante e insostenibile.
Il Senegal è stato uno dei pochi paesi al mondo che ha visto proclamare la sua indipendenza da un grande uomo di cultura e poeta, che poi ne è stato il suo primo presidente per 20 anni (dal 1960 al 1980): Léopold Sédar Senghor, (scomparso nel 2001) filoso, poeta e ideologo del concetto di négritude, quale “somma dei valori culturali del mondo Nero, così come sono espressi nella vita, nelle istituzioni, e nel lavoro degli uomini Neri”. Il suo pensiero, le sue opere e i suoi studi sono improntati alla riscoperta e valorizzazione delle tradizioni e della cultura africana e ne fanno uno dei più significati e importanti intellettuali africani del XX secolo.
Arriviamo in terra d’Africa, ed è vero … i colori del cielo sono profondi, intensi, costituiscono un tratto essenziale del continente. Dall’aeroporto di Léopold Sedar Senghor, in circa un’ora giungiamo nella capitale, Dakar (circa 3 milioni di abitanti), adagiata sulla penisola che si immerge nell’oceano, punto di partenza per il grande salto verso le Americhe; una posizione che tragicamente è stata strategica per la vergognosa tratta degli schiavi.
Come molte città d’Africa in espansione urbanistica e demografica. Anche qui grandi contraddizioni del nostro mondo, tra miserie e ricchezze, tra opulenza e indigenza. Dakar è meno aggressiva di altre metropoli africane. Ci mostra insieme modernità e tradizione e sarebbe ancora in tempo per scelte equilibrate e non distruttive.
Andiamo subito al porto, ed è un esplosione di profumi, suoni, variopinta e multiforme ricchezza umana che ci accompagna fino al nostro imbarco sul traghetto che effettua il servizio verso l’isola di Gorée situata 3 km al largo di Dakar.
I controlli all’imbarco sono accurati, recentemente gli attentati di matrice islamica in Burkina Faso e in Benin hanno innescato maggiore cautela. Grazie a Philo riusciamo ad imbarcarci.
L’isola ha solo una piccola spiaggia, situata dentro il porticciolo; è minuscola, senza strade asfaltate e misura meno di 1 km quadrato (0,36) è lunga circa un chilometro e larga 300 metri, (circa 2.000 abitanti), ma la sua portata storica è tragicamente enorme.
E’ stata proclamata Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1978 per il suo forte valore evocativo e simbolico: dal XV al XIX secolo ha rappresentato il più grande centro di commercio di schiavi della costa africana, usata per i tragici imbarchi fino al 1848, anno della definitiva abolizione della schiavitù nei territori francesi.
Oggi l’isola vive di turismo e percepisco il forte contrasto tra la suadente atmosfera della natura che ci ospita, la sincera e buona accoglienza degli abitanti e delle piccole strutture per l’ospitalità e il drammatico carico di sofferenza che si tocca con mano visitando i luoghi del disonore, in cui arrivavano gli uomini ridotti in schiavitù, strappati da ogni affetto, trattati come bestie e poi quelli che riuscivano a sopravvivere, caricati sulle navi negriere e avviati verso un destino fatto di dolore, di violenza e di morte.
Ecco qui è molto dolorosa la visita: la Maison des Esclaves, la casa degli schiavi dalla quale sono transitati milioni di africani. Si apre una porta sul mare, la Porte du voyage sans retour, da qui gli schiavi venivano imbarcati sulle navi oppure trascinati e scaraventati in mare se troppo deboli. Qui l’uomo è riuscito a scrivere una delle pagine più tristi della sua storia.
Nella Maison des Escalves trovo alcune tracce del passaggio di Giovanni Paolo II e di Barack Obama più queste parole: Milioni e milioni di uomini, donne e bambini, oggi dicono no alla miseria e alla vergogna, perché gli uomini ieri schiavi dei potenti hanno affermato in cuor loro di essere uomini. E molti sono morti da tre secoli in modo che nessuno se ne dimentichi mai.
Trovo un po’ di sollievo, cerco un po’ di pace, provo a trovare pensieri positivi, passeggiando fin verso la piccola collina che domina l’isola, chiamata Le Castel, c’è un po’ di musica suonata con strumenti caratteristici e un suggestivo mercatino artistico che presenta dipinti e opere di pittori e scultori che vivono sull’isola.
Philomène, intelligente e sensibile, col suo perfetto italiano appreso durante il corso di studi ad Urbino, è stata la nostra stella polare che ci ha guidato alla scoperta delle tradizioni, dei popoli, delle culture, della storia e della straordinaria natura del suo paese.
Ci accompagna e ci seguirà sempre la competente, discreta e buona Philo. Il suo volto esprime la gioia e la fierezza di un popolo, ma anche l’amarezza delle tragiche contraddizioni presenti in questa parte d’Africa. Tradizioni religiose estremiste che producono violenza, la storia coloniale che ha comportato soprusi e sfruttamento, le navi cariche di schiavi che partivano da questa terra.
Ci fermiamo a dormire sull’isola presso il piccolo albergo La Porte du Retour e un po’ Philomène ci presenta il suo paese.
La popolazione si compone di una mescolanza variegata di etnie e culture (Wolof 44%, Fula 23%, Tukolor 10%, Serer 14%, Diola 4%). E’ un popolo giovane, il 40% dei senegalesi ha meno di 14 anni, metà della popolazione è analfabeta e la speranza di vita scolastica è di 8,6 anni (in Italia è 16,1).
La Repubblica Presidenziale del Senegal si estende per circa 200000 km² (quasi 20 milioni di abitanti, 95% di religione musulmana) nell’estrema parte occidentale dell’Africa sudanese, e comprende il bacino dei fiumi Senegal, il Saloum, il Gambia e il Casamance.
Singolare caratteristica del paese: a sud di Dakar, il perimetro del Gambia si incunea nel cuore del Senegal fin quasi a dividerlo, in modo che se si transita attraverso la costa è necessario attraversare un confine di stato in entrata e in uscita…
A tali fattori fisici e politici è legata la questione della Casamance. Questa zona del paese viene percepita come un’area lontana, un’entità esterna – solo parzialmente collegata poiché il Gambia si trova tra le due zone del paese – e separa le regioni cristiane da quelle musulmane.
In Casamance i Diola (cristiani in un paese a prevalenza musulmano) rappresentano il gruppo etnico dominante, la loro condizione economica ha contribuito alla nascita movimento separatista per l’indipendenza della Casamance, che ha comportato scontri violenti con le forze governative dagli anni ‘80 fino alla fine del secolo. Atti di violenza e uccisioni continuano comunque a verificarsi.
Anche se la maggioranza della popolazione è musulmana e i cattolici rappresentano solo il 5%, le radici popolari affondano nell’animismo, per cui spesso si incontrano cimiteri in cui vengono ospitati i defunti di entrambe le religioni. Nel paese la chiesa cristiana coincide con il volto buono dei missionari.
Dopo la notte sull’isola e l’ottima cena (riso in salsa di pomodoro con pesce fritto e verdure), torniamo a Dakar e ci dirigiamo alla scoperta del Lago Rosa. Incredibile e straordinario. Non solo per la sua atmosfera, i suoi colori, insomma per la sua fisicità ma per lo straordinario campionario umano che troviamo navigando sulle sue acque e accarezzando le sue spiagge: pescatori e pescatrici, piccole rivendite di amuleti e souvenir, gruppi familiari intenti a preparare il cibo, bambini e bambine gioiosi e sorridenti …
Il lago rosa, Retba (3 kmq) si trova a circa 30 km da Dakar ed è separato dall’oceano Atlantico solo da uno stretto corridoio di dune. Le sue acque sono di colore rosa, per la presenza di un’alga, Dunaliella salina, che produce un pigmento rosso. Si galleggia facilmente per l’alto contenuto di sale, che raggiunge anche il 40% della concentrazione, per l’ingresso di acqua proveniente dal mare. Il sale viene esportato in tutta la regione e utilizzato dai pescatori senegalesi per conservare il pesce.
Andiamo verso Saint Louis a nord: la nostra esperienza pomeridiana è la traversata sulla battigia della lunghissima ed enorme duna costiera in camion 4×4, fino a giungere il centro di Kayar e il villaggio di Fass Boye. Il vento che soffia dall’oceano azzera rapidamente il caldo che viene dall’entroterra desertico. Tutta la costa presenta una notevole flottiglia di piroghe dedite alla pesca: veramente sterminata!
I piccoli villaggi che incontriamo fanno parte di ciò che abbiamo spesso pensato e sognato di questa parte di Africa: il fragore incessante delle onde, le palme e i baobab sulla spiaggia, lungomare pieni di conchiglie e infiniti delta fluviali, schiere di piroghe, banane, stormi di uccelli e tessuti colorati.
Lasciamo la costa e ci addentriamo nell’interno, la nostra corsa in camion finisce, dopo una sosta per sostituire una gomma forata a Fass Boye (vi lascio immaginare la curiosità dei bambini) ai margini del deserto. La sosta nel villaggio per la riparazione è come un tuffo nella gente e tra la gente. E’ l’Africa dei villaggi multicolori, dei deserti, delle oasi, dei piccoli orti, che si offre alla nostra esperienza con la sua profonda umanità.
Il Senegal è affacciato placidamente sull’oceano, lungo la costa scintillano imponenti le piroghe multicolori. La vocazione della pesca appartiene a molti villaggi, alcuni come Kajar sono estesi ed interminabili, qui si succedono le imbarcazioni protese verso l’oceano, dolcemente posate sulle spiagge brulicanti di bambini, venditori di ogni genere di mercanzia, donne bellissime dai vestiti multicolori.
Il sole tramonta sulle acacie e sui baobab, su campi di miglio. Dalla sabbia della costa atlantica verso il deserto. Troviamo il nostro campo montato, nel deserto di Lompoul, per passare la notte. Ma la cena, prima e dopo, e la sera sono le vere sorprese: una notte nel deserto tra sapori, silenzi, profumi e melodie che non dimenticheremo. La notte è piena di fascino, la luna è piena e con la sua luce riscalda i dolci declivi della dune sabbiose, il suono dei tamburi della nostra brigata accompagna il percorso della luna.
Al mattino vado in esplorazione delle dune; provo emozione questo è il primo vero contatto con il Sahara. Grandioso e spaventoso. Passeggio nell’alba e penso a quanto male facciamo al pianeta e a quanto bene potremmo fargli e fare a noi stessi. Le immagini e i colori del deserto resteranno impressi nella mente, non saranno mutevoli e cangianti come la sua sabbia.
Arriviamo nel tardo pomeriggio, dopo un lungo viaggi di 5 ore, a Saint Louis, patrimonio dell’Unesco al confine con la Mauritania, monumento alle ambizioni coloniali dei secoli scorsi. Fondata nel 1659, primo insediamento francese in Africa, nel 1895 divenne capitale dell’Africa Occidentale. L’impronta europea nella città si percepisce chiaramente, ma Saint-Louis continua a essere africana sino al midollo. Basta passeggiare lungo il fiume che separa l’isola dalla lingua di terra sull’Oceano, e restare a osservare: centinaia di piroghe, turbanti, minareti, uomini che lavano i cavalli e capre che pascolano nella spazzatura.
Il sistema coloniale ha lasciato il segno, ma la mitezza e la bontà che colgo negli occhi di Philo e in tanti altri sguardi che incrocio rappresenta un paese giovane che vuole affrancarsi dalla corruttela ed avviarsi verso un futuro equilibrato.
Quante esperienze d’Africa ascolto. Diverse e distanti, legate ai viaggi, al turismo banale e scontato, al volontariato e alla solidarietà. Alba e i suoi 6 anni in Senegal, pensa al suo ruolo in questo paese, crea la sua associazione per aiutare i bambini e le donne. Ogni paese di questa parte del pianeta è un mondo con la sua peculiarità, con le sue variegate tradizioni, con le sue contraddizioni, con i suoi mille popoli e mille etnie. Il calciatore professionista che dal Belgio rientra nel suo paese ed avvia, vicino al suo villaggio di origine Guelakh,, una cooperativa per offrire lavoro a tutti gli abitanti dei villaggi circostanti: la fattorie, gli orti, la tessitura, la scuola. Pranziamo con lui e con le donne del villaggio. Tanta accoglienza e bontà; un’esperienza autentica e toccante.
Il villaggio di N’guelakh si trova sulla riva sinistra del fiume Senegal, a pochi chilometri dalla foce vicino a Saint Louis. Oggi a Guelakh arrivano giovani da fuori, per imparare le basi della meccanica, la falegnameria, il cucito ed il commercio. Qui il progetto cooperativo e solidale si è realizzato grazie all’iniziativa di Ousman e Fatou. Molte sono le azioni realizzate: centro di formazione per giovani che stanno imparando agricoltura, muratura e falegnameria, allevamento, produzione casearia, attività agricola con produzione di ortaggi per il consumo e la vendita nei mercati locali, produzione di batik (creazioni di tessuti stampati); poi i centro scolastico (cinque classi ben attrezzate, ognuna con un insegnante, per la scolarizzazione di circa 100 studenti per ciclo).
I villaggi disseminati nell’entroterra, ai margini del deserto, rappresentano il vero volto del paese. Dakar, la petit cote fino a St. Louis e il sud fino alla Casamance, si sono sviluppati per l’accoglienza turistica, molto c’è ancora da fare, e ancora può essere intrapresa, qui più che altrove, la strada di un turismo sostenibile e solidale. I villaggi sono di una poesia infinita e di una crudezza stravolgente. Alcuni in decomposizione assediati e divorati dalla povertà, altri, sorridenti e felici della loro placida ed autentica dimensione. Ti avvicini ad essi e ti rendi conto che nel nostro mondo qualcosa non va.
Possiamo fregiarci anche della safari experience. Eccoci nella Riserva Naturale di Fathala, un’area di circa 6000 ettari di foresta. L’escursione è un po’ da parco-safari, ma comunque merita perché l’area è molto ampia e gli animali sono in perfetta simbiosi con l’ambiente senza grossi condizionamenti: zebre, antilopi, giraffe, rinoceronti, leoni.
I sistemi fluviali del paese sono sorprendenti. Ai confini del grande deserto, la savana presenta il suo volto deciso e polveroso, ma questi grandi fiumi, il Senegal, il Gambia, il Saloum, offrono la spettacolare combinazione di ambienti rigogliosi, orti traboccanti di verdure e ortaggi, grandiosi e placidi spazi deltizi con lagune salmastre, foreste di mongrovie, popolate da scimmie e iene, isole di conchiglie brulicanti di cormorani, aironi, aquile pescatrici, falchi, pellicani. E poi la lunga costa sabbiosa del grande mare, si apre imperiosa in una continua fascia di sabbia che lascia spesso lo spazio ad autentici e fieri villaggi di pescatori che con le loro variopinte piroghe sfidano le imponenti onde dell’oceano. Un’esperienza di assoluta immersione nella natura è rappresentata dal contatto con il delta del Saloum. Oggi è un parco nazionale di 76.000 ettari. E’ straordinaria la navigazione lungo il fiume accompagnati da Philo e dalla nostra guida.
Touba (il grande bene). La visita a Tuba rappresenta una lezione di antropologia. Mi attrezzo per l’ingresso acquistando l’abito religioso ed entro. Fervono lavori di restauro ed alcune parti sono chiuse ma familiarizzo e converso con i restauratori che sono marocchini e specializzati nel recupero delle decorazioni e delle miniature che impreziosiscono la moschea.
Touba è la seconda città del paese dopo la capitale, ma è anche la città santa del mouridismo. La confraternita fu fondata dallo sceicco Cheira Ahmadou Bamba nel XIX secolo. I mourides sono molto considerati nel paese, hanno buone disponibilità economiche e possiedono molte terre che vengono coltivate gratuitamente dai devoti. A Touba si celebra ogni il Magal, una celebrazione religiosa che ha lo scopo di riunire milioni di fedeli provenienti da tutto il mondo. La sua moschea è una delle più estese dell’intera Africa a sud del Maghreb.
L’accesso alla città ha qualcosa di meraviglioso, si oltrepassa un massiccio portale che segna il confine con la città sacra. E’ divisa in due, da una parte c’è il caos della città, dall’altra la serenità della preghiera.
Porto nel cuore il saluto a Philo, il suo abbraccio e il suo augurio. Grazie Philoméne a bientot…