Ecuador. Novembre 2019. Fundación Otonga e Giovanni Onore
Arriviamo a Quito in serata ed organizziamo la visita da Giovanni. Padre Giovanni Onore, professore ordinario presso la Cattolica Università dell’Ecuador è un’istituzione scientifica. Ha quasi 80 anni e la sua vita è segnata dalla scienza e dalla fede. Missionario mariano, giovanissimo va in Congo e ci sta 10 anni vivendo con le tribù pigmee. Poi arriva in Ecuador, ed ormai sono 40 anni. Di formazione scientifica entomologo, conduce ricerche, insegna nelle università ecuadoriane, e scopre centinaia di nuove specie di insetti. Resta il suo forte legame con l’Italia e con il suo Piemonte e ogni anno torna e racconta la sua esperienza di scienziato in Italia e in Europa, collaborando con università di tutto il mondo. Perché? Perché nel frattempo alcune aziende venete, affascinate dalle sue conferenze, alla ricerca di concrete operazioni di green washing, gli forniscono i fondi per acquistare un pezzo di foresta in Ecuador. Nasce così il primo nucleo di Otonga la foresta acquistata dalla Fondazione appositamente creata e che ora conta quasi 2.000 ettari di foresta.
L’Ecuador calza a pennello per l’agronomo Giovanni Onore, la cui passione e amore per tutte le creature lo trasforma in uno degli entomologi più importanti al mondo. Il paese è uno degli hotspot del pianeta per la biodiversità, è considerato il territorio più biodiverso per chilometro quadrato: Amazzonia, Pacifico, Ande, Galapagos, solo ne parco di Yasuni aggredito dai petroleros esistono oltre 600 specie di uccelli, 100° specie di alberi e più di 10.000 varietà di insetti.
Otonga in lingua indigena significa lombrico. Così è la sua opera e la sua foresta, tenace, semplice, umile, non si piega, se si spezza rinasce, e non chiede mai niente nutrendosi semplicemente della terra, costruisce incessantemente in silenzio senza pretendere nessuna ricompensa se non il suo diritto ad esistere nella sua estrema semplicità. Sono orgoglioso che Giovanni mi abbia paragonato a Otonga.
E’ un fiume di conoscenza e di avventure, non riesco a non scrivere, ogni frutto, per noi sconosciuto, lo descrive, lo assaggia, lo studia, lo commenta, raccontando avvincenti storie. E inizia il suo show sulla frutta e sulla grande competenza scientifica.
Iniziamo dai baccelli giganti.
Inga, è la guava machetona un grosso baccello dai frutti succulenti, spesso si vede in vendita sulle strade verso sud, ne esistono in Ecuador oltre 120 specie diverse; è una delle rare piante che non resiste al trasporto, dopo 3 giorni il seme non è in grado di dare vita alla nuova pianta.
Passiflora edulis, troviamo 115 specie, si apre una goccia di rum un po’ di zucchero e si mescola il tutto.
Qui nel paese, tutto viene rivendicato come autentico ma le banane (la principale è la musa cavendish), di cui l’Ecuador è uno dei principali produttori al mondo (al 5 posto nel 2017), sono originarie dell’Asia, così come il caffè che è originario dello Yemen e dell’Etiopia.
Finiamo con la sua piccola teca di farfalle provenienti da Otonga, in Ecuador ce ne sono 60.000 specie. Assaggiamo tutto, escluso le farfalle.
Ci racconta anche dell’olio di palma, che per noi è un tema che fa molto ecofriendly. La palma da olio (Elaeis guineensis) di provenienza africana, produce frutti con una polpa ricca di grassi, da cui si ricava un olio che ideale per friggere, in quanto non brucia e sopporta le alte temperature: guerra economica e commerciale; i produttori di soia sono contro le coltivazioni della palma da olio.
Decidiamo insieme di andare, la mattina successiva, al mercato di San Roque, un vero mercato indigeno, dove nessuno (turista o viaggiatore) va, es muy peligroso. Prima facciamo colazione da Giovanni, tutti insieme e di nuovo la sua personalità forte si impone sulla scienza ed è ovviamente un pezzo della sua storia personale che riviviamo.
Aveva ragione Giovanni, il mercato di San Roque è sterminato e ricco di ogni mercanzia e davvero autentico, si trova in un quartiere molto semplice e povero, di fronte al carcere della città, oggi dismesso e in attesa di una sua destinazione. Il consiglio è quello di andare senza telefoni e oggetti di valore e con pochi soldi. Il mercato è costituto da una enorme struttura coperta circondata da una serie di vie e viuzze dove sono presenti ulteriori venditori di ogni genere di merce. E’ un’immersione partecipata nei suoni e nei colori di questa parte di America: frutti, erbe miracolose, verdure, animali, carni, spezie, odori, profumi, suoni e sguardi intensi e indagatori.
Dedichiamo tutta la mattina al mercato, poi salutiamo Giovanni e andiamo a pranzo in centro, nella tipica trattoria di San Agustin.
Il tempo che ci resta lo dedichiamo alla Virgen del Panecilio situata su una collina di circa 200 metri (siamo a 3016 di altezza slm) che sovrasta la città. E’ un scultura in alluminio (secondo l’Ecuador la più alta al mondo) misura 45 metri e si basa si una scultura originale di 30 cm di Bernardo de Legarda del 1734, (altare maggiore della chiesa di San Francesco a Quito).
Molti riferimenti simboli: la Madonna si staglia da un grande globo di alluminio e calpesta un grosso serpente, è alata, (gli ecuadoriani ritengono che sia l’unica statua al mondo in cui Maria è raffigurata con le ali di un angelo), è sorridente ed ha la mano destra alzata nell’atto di benedizione. Rappresenta la Donna dell’Apocalisse, come descritta nel Libro della Rivelazione del Nuovo Testamento.
… la Virgen alata, la Madonna con le ali, e volante su di un drago poggiato sopra un globo terrestre; è impossibile non vederla, affaccia sopra il centro storico coloniale, dà le spalle ai quartieri dei poveri, le baracche arrampicate sui costoni del Panecillo. È iperrealista questa grande virgen – come tutta l’arte sacra ecuadoriana, le statue dei santi e dei Cristi e delle Madonne con bottoni di madreperla al posto degli occhi sgranati e spaventevoli, capelli veri e crespi, specchietti nelle bocche a simulare la lucidità della salivazione – ed è magica allo stesso tempo, una realtà che balla tra questo mondo e quell’altro, quello simbolico delle corrispondenze divine.” (G. Catozzella, L’Espresso 27/10/2016).