Ecuador, novembre 2019. America Latina.
Prima volta sul suolo americano. E’ strana sensazione quella di essere in questa parte di America. Qui, ma in tutto in questo continente, la nostra civiltà ha dato il peggio di sé e a fatica sopravvivono tenui bagliori delle antiche culture che popolavano un tempo queste terre.
Oggi tutto il mondo è segnato, nel bene e nel male, da un meticciato culturale e qui più che altrove si respira l’atmosfera in cui convivenza pacifica tra i popoli cammina su di un filo tenue.
L’America Latina in questo tempo è solcata da inquietudini e contestazioni, non è una novità. Ogni paese ha i suoi specifici problemi, ma tutti si inquadrano nelle strategie delle lobbies economiche e finanziare che reggono le sorti del nostro pianeta. Qualche piccolo spiraglio di speranza, a volte, si intravede, ma come piccole fiammelle, alla fine se non alimentato con forza dai potenti illuminati, si spenge.
Attraversi l’oceano con alcune ore di volo. Ormai possiamo essere, in poco tempo, ovunque, le distanze vengono percorse con facilità, possiamo vivere esperienze che prima necessitavano il tempo di una vita, ora è tutto facile, semplice. Per questo, ora più che mai, è necessario comprendere che esiste un altro modo di viaggiare, più sostenibile e più coinvolgente, ma i flussi mondiali purtroppo non vanno in questa direzione.
Ma le distanze restano e resta quel grande fascino dei luoghi, che solo con una partecipazione immersiva, con l’ascolto, è possibile apprezzare e percepire. Resta il fascino della gente semplice, autentica, dei volti, degli sguardi, delle intermittenze. Ora sono a Quito, quasi 3 milioni di abitanti, adagiata nelle strette valli incorniciate dalla cordigliera andina. La città ti toglie in fiato, in tutti i sensi.
Possiamo considerarla la capitale più alta del mondo? Forse si, Bolivia permettendo; infatti se consideriamo Sucre (che è la capitale governativa della Bolivia situata a 2.750 mt, mentre La Paz ne è la capitale costituzionale, posta a 3.640 mt.) capitale dello stato boliviano, è Quito la più alta al mondo.
Ti toglie il fiato per come si presenta, in forma allungata e stretta, con le pendici delle colline che si stagliano dalli valli, interamente occupate dai quartieri poveri, case in cemento precariamente incastonate su fragili appezzamenti in declivio, soggetti ad alluvioni e spesso nel corso della storia a terremoti (siamo in una delle zone sismiche del pianeta, infarcite di vulcani attivi). Ti toglie il fiato perché a 3.000 metri ti manca l’aria, senza un acclimatamento graduale, la diminuzione di ossigeno nell’atmosfera crea uno stato di malessere.
La città ha una forma lunga e stretta da nord (dove si sviluppa la parte nuova e moderna) a sud, il Centro Historico si trova nel mezzo, a occidente si sono sviluppate in maniera caotica e disordinata le propaggini dei nuovi quartieri che a sud coincidono con la parte residenziale bene de La Armenia fino a Sangolqui e a nord con Tumbaco.
Qui passa l’equatore, da cui il nome del paese, ma siamo anche lungo la cordigliera andina, per questo la temperatura media è di circa 18 gradi anche se durante le ore di sole può raggiungere quasi i 30. Il traffico è intenso e nelle ore di punta resti imbottigliato, tantissimi autobus e camion, molte auto, in prevalenza di grossa cilindrata (una delle risorse principali del paese è il petrolio; la benzina costa circa 25 centesimi di euro al litro). Per arrivare nel centro historico devi passare comunque dal trebol (quadrifoglio) il trafficatissimo quadrivio che consente di collegare le diverse parti della città.
Il nucleo urbano e architettonico che anima le giornate di Quito è Plaza Grande su cui si affacciano gli edifici simbolo del potere temporale e religioso del paese. Il Palazzo de Gobierno reca ancora i segni della recente protesta contro Lenin Moreno, attuale presidente, con transenne e filo spinato ovunque.
Infatti nei primi giorni del mese di ottobre (2019) il presidente Lenin Moreno ha dichiarato lo stato di emergenza e chiuso porti e aeroporti per le proteste che si sono verificate contro le tasse introdotte sui carburanti. Tali proteste si sono unite alle contestazioni della popolazione, soprattutto degli comunità indigene, contro il Fondo Monetario Internazionale. Le manifestazioni, che hanno messo a ferro e fuoco la capitale si sono fermate il 14 ottobre con “l’accordo” siglato con gli indigeni. Il governo ha iniziato in seguito una serie di arresti di attivisti e leader della sinistra del paese, sono finiti in carcere anche gli oppositori istituzionali, il Governatore della provincia di Pichincha Paola Pabon; l’ex sindaco di Duran Alexandra Arce; il deputato Yofre Poma; e il leader sociale Christian Gonzalez.
Il paese non ha una propria moneta, infatti dal 2000 è il dollaro americano la valuta dello stato. Come quasi tutta l’America Latina, anche l’Ecuador, segnato da contraddizioni sociali, resta un satellite di Washington, ricco di risorse naturali. E’ all’89 posto per ISU (Indice di sviluppo umano, l’Italia è al 26) con un Pil di 102.311 mld di dollari (Italia è a 1.937.194 mld di dolari).
E’ il terzo paese del Sud America quanto a riserve petrolifere, dopo Venezuela e Brasile; queste sono concentrate nel bacino amazzonico, in particolare nei parchi nazionali, come quello di Yasunì.
Le divisioni interne e gli effetti catastrofici delle politiche colonialistiche prima e capitalistiche oggi, (militari ed economiche) rendono i popoli di questa parte di America facile vittima di un gioco i cui attori principali spesso non risiedono in questi paesi, ma nei vellutati uffici delle capitali economiche globali.
Durante una passeggiata nel centro si respirano le contraddizioni che emergono dal confronto tra la popolazione cittadina (gli ecuadoriani che si sentono autentici discendenti degli spagnoli, ma dei quali non parlano mai, in un rapporto di amore odio con l’antica madrepatria) e gli indigeni, provenienti dalla comunità amazzoniche o andine che arrivano in città in cerca di migliori condizioni di vita. Ssi tocca con mano la semplicità e la povertà tipica delle grandi metropoli sudamericane. Come succede poi nella nostra Europa ci sono i migranti, che nell’immaginario collettivo sono consideranti, invadenti, pericolosi, stranieri, insomma “gli altri”. In particolari i venezuelani, che fuggono dal loro paese strangolato dall’inflazione e da scellerate politiche economiche. Problematico il rapporto con gli altri due vicini Perù e Colombia. Pensare: tutte criticità derivate dai comportamenti aggressivi e imperialistici della nostra “magnifica e progressiva” civiltà occidentale.
La crisi migratoria in atto in Venezuela ha prodotto crescenti tensioni tra i due paesi. Secondo le ultime stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), sono circa 1,6 milioni i migranti che hanno abbandonato il Venezuela dal 2015, provocando “uno dei più grandi movimenti di popolazione nella storia dell’America Latina”. Diretti in Perù e Cile, secondo le stesse stime sono circa 550 mila i venezuelani che sono entrati in Ecuador passando per la Colombia nel solo 2018. In media 4 mila persone al giorno varcano il confine andino attraverso il ponte di Rumichaca, che collega il comune di Ipiales, in Colombia, a Tulcán, città più settentrionale dell’Ecuador
Gli interessi economici e strategici prevalgono sempre sugli stati e sui popoli. Le compagnie petrolifere scoprono nell’area amazzonica ecuatoriana ingenti riserve petrolifere. I politici ecuatoriani “vendono” queste risorse all’americana Texaco. In Perù un accordo uguale viene stipulato fra il governo e la compagnia olandese Shell che fomenta e finanzia una guerra ai danni dell’Ecuador. I peruviani, molto più forti militarmente, conquistano gran parte delle regioni amazzoniche ecuatoriane, su cui insistono grandi giacimenti petroliferi, senza incontrare nessuna forte resistenza. L’anno successivo viene firmato il cosiddetto Protocollo di Rio che ufficializza la perdita di territorio da parte dell’Ecuador a favore del Perù. Altri cinque paesi americani assumono il ruolo di garanti di questo accordo che nessun governo ecuatoriano mai ufficializzerà nel proprio paese, come se si trattasse di un problema ancora aperto e ancora da definire. Di fatto i nuovi confini non vengono accettati e in tutte le mappe del paese esistenti qui in Ecuador vengono riportati i due confini: quello esistente prima del 1942 e quello “inaccettabile” del Protocollo di Rio.
Da allora i due popoli sono divisi da una grande rivalità. In Ecuador come in Perù esiste un evidente nazionalismo che si alimenta e trova forza nell’odio creato ad arte fra le due nazioni.
D’altro canto il confine tra la Colombia e l’Ecuador è una linea sommaria, tracciata attraverso l’Amazzonia, e fatta prevalentemente di acqua, del fiume San Miguel e del fiume Putumayo (ma succede anche con il confine peruviano presso il corso del Rio napo). Qui vivono popolazioni contigue, che non percepiscono il fiume come una separazione, ma piuttosto come un vaso comunicante di scambio, di genti e di merci.
Il Putumayo, regione di confine nel Sud della Colombia, (che possiede una biodiversità tra le più ricche al mondo) è una delle “zone rosse” del conflitto tra esercito ufficiale, guerriglia delle Farc e gruppi paramilitari. Questa area amazzonica è una delle maggiori produttrici di foglia di coca. Il Putumayo, inoltre, è storicamente una delle regioni sotto il controllo delle Farc, che da oltre quarant’anni sono le protagoniste delle guerra della droga. Qui si realizza il conflitto tra il governo di Bogotà e i narcotrafficanti che spesso sconfina in territorio ecuadoriano. Questo territorio è l’habitat naturale della guerriglia e molti accampamenti dei narcotrafficanti sono situati anche sul versante ecuadoriano. Spesso la Colombia compie operazioni militari, anche con pesticidi, in territorio ecuadoriano, scatenando crisi diplomatiche; non di rado pattuglie militari colombiane attraversano il confine senza preavviso e requisiscono civili che vivono sulle sponde opposte, accusandoli di connivenza con la guerriglia.
Tutta l’America Latina è devastata da povertà antiche legate allo scontro tra civiltà, scontro che ha prodotto etnocidi e stravolgimenti culturali molto pesanti. L’Ecuador, in aggiunta, è spesso, per la sua posizione e natura geologica, teatro di devastanti terremoti, ma la sua straordinaria natura e biodiversità ne fanno uno scrigno prezioso per tutto il pianeta.