Sri Lanka – Gennaio 2007

Sri Lanka – Gennaio 2007

Quest’isola, delle dimensioni di una grande regione italiana, incastonata nel clamore del continente asiatico, pieno di contraddizioni, religioni,  permeato dei desideri occidentali, immerso nel suo passato che lo chiama in continuazione per non perdere la sua memoria. Le elezioni del novembre 2005 hanno portato al potere il 73enne Wickremanayake nominato Primo Ministro dal nuovo Presidente Mahinda Rajapakse.

Il nuovo presidente, subito dopo la vittoria, si era impegnato di fronte ai media e alle istituzioni a riavviare immediatamente i negoziati con i ribelli tamil del Liberation Tigers of Tamil Eelam, che da oltre venti anni si battono per ottenere l’autonomia dei territori nordorientali dell’isola, sotto il loro controllo. Ma la nomina a Primo Ministro di Wickremanayake, da subito, ha significato che il presidente ha inteso in realtà scegliere la linea dura nel processo di pace con i ribelli.

In sostanza la vittoria di Rajapakse rappresenta un passo indietro sulla strada dell’accordo tra il Governo e il fronte dei ribelli. La presidentessa uscente, Chandrika Bandaranaike Kumaratunga, aveva infatti seguito una linea politica lontana dal nazionalismo cingalese dei suoi predecessori, favorevole alla riconciliazione nazionale e alle aperture del mercato. Rajapakse si è invece presentato alle urne alla guida di una coalizione politica che comprende al suo interno il People’s Liberation Front (JVP), una formazione nazionalista cingalese di estrema sinistra, fortemente avversa ai tamil e favorevole a una soluzione definitiva della questione manu militari. Il nuovo primo ministro sta usando, infatti, la linea dura e i quotidiani bombardamenti nei territori controllati dai Tamil ne sono una eloquente dimostrazione. D’atro canto i Tamil reagiscono  con azioni che, per la prima volta, coinvolgono altre zone dell’isola e la popolazione civile.

I recenti attentati su due autobus pubblici (gennaio 2007), uno in prossimità della capitale e uno a sud, vicino alla località turistica di Hikkaduwa, rappresentano due episodi preoccupanti.Nei venti anni del conflitto, spesso, le forze governative hanno usato la mano pesante sui territori controllati dai tamil: estese aree minate, bombardamenti sulla popolazione civile, uso di armi chimiche, fosse comuni; d’altro canto l’escalation di violenza si è concretizzata con azioni militari verso obiettivi civili da parte del LTTE.Guerra dentro il paese, conflitto che si percepisce poco e  male con gli occhi degli opulenti turisti tedeschi e inglesi che ancora affollano le località turistiche dell’isola. Clima che invece, guardando con cuore ed occhi diversi, avverti, vedi, tocchi. Quell’atmosfera fatta di armi che scintillano ai posti di blocco, numerosissimi anche lungo le strade più turistiche, gli occhi spauriti dei giovani soldati che presidiano questi precari check point, il sorriso che rivolgono agli occidentali che mai sono bloccati o perquisiti. La sicurezza ostentata dalla gente, anche da coloro che ci sono più vicini, che viene dall’affermazione: “finalmente il nuovo primo ministro ha deciso di risolvere la questione dei tamil”. La fiducia di tutti che si risolverà con la linea dura e con i quotidiani bombardamenti al nord e all’est. Ormai non ci sono più negoziati e la parola è alla violenza e alle armi. Questo il primo concreto elemento necessario per iniziare a capire l’anima di questa terra.Una nuova storia, di qualche settimana, da scrivere, sui nostri progetti e sul significato della nostra presenza nell’isola delle spezie. Le storie che possiamo raccontare e quelle che possiamo immaginare, le famiglie che stiamo aiutando, il sorriso dei loro bambini, la gioia che traspare dagli sguardi e dai sorrisi timidi delle donne.

Il paese è profondamente segnato dal conflitto etnico, le ripercussioni sull’economia e sul turismo sono evidenti. Il tempo dello tsunami è ormai finito, ma il suo effetto ha impoverito ulteriormente le fasce più deboli della popolazione. Le migliaia di dollari che sono arrivate per la ricostruzione hanno arricchito le imprese coinvolte, rimpinguato le casse delle NGO più potenti e più famose, foraggiato le lobbies politiche al potere.

In rari e sporadici casi le ricadute sono state positive e si è aiutato o si sta aiutando chi ha davvero bisogno. Purtroppo si assiste allo spreco degli aiuti; aiuti che non arrivano o arrivano con il contagocce nei territori controllati dai Tamil per precisa scelta governativa, aiuti che in rari e sporadici casi le ricadute sono state positive e si è aiutato o si sta aiutando chi ha davvero bisogno.

Purtroppo si assiste allo spreco degli aiuti; aiuti che non arrivano o arrivano con il contagocce nei territori controllati dai Tamil per precisa scelta governativa, aiuti che duplicano progetti già avviati e che favoriscono due, tre o quattro volte gli stessi soggetti, progetti sbagliati che risultano inutili; emblematico è il caso di nuove abitazioni che ad oggi sono ancora vuote perché nessuno vuole andare a vivere in contesti abitativi completamente avulsi dalle tradizioni e dai riferimenti culturali e sociali dell’isola.Ma ecco le nostre storie. Continua la storia con L. e la sua compagna. Concepiscono il loro ruolo come una missione in un paese che sentono e vivono come ostile, nelle autorità, nella gente, nelle strutture, salvo pochissime persone sulle quali ripongono la loro fiducia (sempre e comunque da verificare). Cultura, tradizioni, civiltà diverse, e L., a ragione,  afferma che il patrimonio culturale dei tamil è notevolmente superiore a quello dell’etnia cingalese. Alla fine della dominazione inglese, da subito si sono innescate dinamiche che ancora oggi permeano le strutture sociali: la donna lavora ed è patrimonio dell’uomo, questi beve e distrugge la famiglia; il dato del 95% della popolazione maschile alcolizzata la dice lunga. Qualche anno fa pensavo che queste fossero toscane esagerazioni di L., ma le 24 bambine che vivono nella sua casa-famiglia confermano questa dolorosa realtà, così le famiglie che stiamo aiutando, le donne sole che incontriamo e sosteniamo. Strada facendo L.  incontra amici, come noi e come quelli del Trentino Solidale che offrono sostegno e aiuto alla Mihiri Gedere. Una casa nella quale si respira il clima di fiducia che dovrebbe esserci in ogni famiglia, dove si avverte la gioia e si vedono i bambini sorridere felici di essere ri-nati: perché prima non esistevano, vivendo il loro inferno quotidiano fatto abusi, di violenze, di dolore e di morte.Oggi rinascono e sorridono alla vita, alla loro amma e agli amici che visitano e sostengono Casa Mihiri. Anche qui molte storie che dal dolore pian piano si avvicinano alla serenità, gioia e ad una nuova vita. Dolore; quella delle ultime due arrivate che, dopo 4 mesi, solo in questi giorni sono riuscite a parlare di nuovo; la sorellina più piccola dovrà subire un delicatissimo intervento chirurgico per tentare di risistemare quello che una bestia (che avrebbe dovuto essere il padre) ha selvaggiamente distrutto.Gioia; quella dello sguardo e degli occhi di Pryadarshani (bambina di 12 anni) che segue curiosa la cerimonia della consegna dei regali che le arrivano dalla famiglia adottiva (dell’Elba). Riusciremo, con qualche migliaia di euro a sistemare la mamma vicino alla bambina, le daremo acqua con un pozzo e luce per la sua casetta di legno; finalmente vicina alla sua bambina che studia felice nella Mihiri Gedere.Continua la storia con S. Il Vocation Center di Unawatuna è pronto e funzionante. Il clima che si respira è positivo. Ecco il caso in cui, in seguito allo tsunami, il progetto realizzato ha risposto alle esigenze. I finanziamenti della regione e del comprensorio lucchese assicureranno la copertura dei costi di funzionamento del centro.

Il Vocation Center di Unawatuna è pronto e funzionante. Il clima che si respira è positivo. Ecco il caso in cui, in seguito allo tsunami, il progetto realizzato ha risposto alle esigenze. I finanziamenti della regione e del comprensorio lucchese assicureranno la copertura dei costi di funzionamento del centro.Tutto questo grazie all’impegno di S. e dei suoi collaboratori. Qui la cosa è riuscita perché S. vive da 10 anni in questo paese e ha seguito costantemente il progetto da vicino.  L’atmosfera che si respira a Unawatuna non è facile. Qualsiasi cosa fanno gli occidentale è controllata, monitorata e giudicata.

La località è una delle mete turistiche più famose del paese, e intorno ad essa ruotano interessi commerciali consistenti. Esistono comunque sacche di povertà e famiglie povere che hanno bisogno si sostegno; per rispondere a queste esigenze e all’emergenza nata dallo tsunami, per offrire educazione e attività adeguate ai bambini, S. ha immaginato questo centro; la gestione è molto impegnativa, la scelta per l’ammissione dei bambini (l’accesso è completamente gratuito) deve essere corretta ed esemplare. E quindi ha bisogno di energie e controllo continui, per non sbagliare in una realtà dove vieni costantemente giudicato, dove prevalgono invidie ed odio da clan tribali.Il villaggio di Pilana è immerso nella vegetazione tropicale, circondato da piantagioni di thè e risaie.

La comunità del villaggio si è autorganizzata grazie al sostegno di S. e soprattutto grazie all’opera di Samantha, il tramite locale che è divenuto uno stretto collaboratore dell’associazione. Qui non siamo in una località turistica; la realtà rurale presenta lo stesso quadro: degrado sociale, uomini assenti e alcolizzati, donne sole con bambini da mantenere. Il faticoso lavoro di ricostruzione della convivenza civile sta dando i primi frutti. Il comitato del villaggio ha iniziato a presentare dei progetti di lavoro che vengono sostenuti con il microcredito dalla nostra associazione. E’ stata realizzata una parte importante di servizi comuni per il villaggio, grazie ai fondi raccolti da S., a quelli nostri ed ai contributi della Fondazione Pantani. E’ nata così la scuola materna che accoglie 70 bambini, il centro di formazione che ospita corsi di inglese, informatica e altri specifici per attività artigianali, un consultorio per le donne e una piccola infermeria per interventi di pronto soccorso. Abbiamo incontrato le famiglie che hanno avuto l’approvazione sui progetti di microcredito ed abbiamo sottoscritto i contratti; quasi tutte donne, progetti motivati e interessanti che permetteranno di costruire anche il tessuto produttivo della piccola comunità. Anche qui le cose non sono state facili, nei mesi scorsi un giovane è stato ucciso per gelosie relative proprio ai progetti, ma la fase più difficile è superata e S. è ottimista. Le donne sorridono felici vedendo che la nostra associazione esiste davvero e che i contributi per i loro progetti si incarnano in persone reali, che parlano loro dei progetti e della collaborazione con S., che raccontano di terre lontane dalle quali altre persone sostengono il loro lavoro e il loro villaggio, per offrire ai propri figli opportunità di studio di lavoro e di conseguenza un futuro migliore per questo paese.Le altre storie. Quella di Amal e della sua collaborazione con noi. E’ molto giovane, ma tutto quello che avevamo progettato lo scorso anno lo ha realizzato correttamente ed efficacemente.

La casa del muratore-giardiniere è pronta, la famiglia è felice, e decidiamo insieme ad Amal di comprare la macchina da cucire alla donna: potrà lavorare e realizzare piccole borse che noi acquisteremo. Sosterremo anche l’educazione dei bambini. Lo stesso abbiamo fatto con il pescatore; l’uomo parla un ottimo inglese e più volte ci ringrazia dicendo che abbiamo fatto moltissimo per lui e per la sua famiglia; viene a salutarci con la moglie, portando i braccialetti che la donna ricama e che noi utilizzeremo per i contributi.

Rivedo gli occhi sorridenti, imbarazzati e increduli della moglie di Bandu quando le abbiamo chiesto di venire con noi a comprare il materiale per le borse; la gioia nel poter finalmente comprare le scarpe buone per i suoi bambini e il bel vestitino rosso fiammante per la festa di Uppala, la figlia che è divenuta donna.

La storia di Harshi e della sua famiglia. La bambina che è cresciuta, divenendo più spigliata e più disinibita; spesso mi chiama nella condivisione dei suoi giochi e nei suoi studi, cosa insolita per lei, quasi una sorpresa, questo baboo (come lei mi chiama) che è stranamente sempre disponibile. La sua maturità la porta a metabolizzare il rapporto che ha con i nostri bambini, ricordandole i  tentativi fatti per visitare il nostro paese, quelle promesse, e l’ultimo divieto del padre. Questa volta si affaccia la consapevolezza del distacco e della paura di non riuscire a vedere il paese di Irene, che si materializza con il suo pianto dirotto e incessante che segna una calda sera tropicale.

La storia di Niluka, delle sue sorelle e dei suoi bambini. Tre giovani donne, spinte al matrimonio (innamorate o costrette), col miraggio della libertà, per affrancarsi dalle catene familiari dei vincoli e degli obblighi imposti da una cultura arcaica e maschilista. Oggi si scoprono, dopo pochi mesi, sole, a vivere in case precarie, con uomini annientati dall’alcool o dalla violenza, costrette a mendicare un lavoro per non sprofondare nella disperazione e nella miseria e per sfamare i loro sette bambini. La pudica disponibilità a mostrarsi e la gioia che raccontano i lori volti nell’intravedere un altro lato del mondo e della vita, fatto di speranza e di amore.

Con il loro sguardo, con il sorriso dei loro bambini, con la promessa della loro nuova e vera casa, salutiamo ancora una volta, con l’animo in tumulto, l’isola delle spezie.

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