Vietnam. Maggio 2014

Vietnam. Maggio 2014

HANOI

17 maggio 2014. Un lungo volo, 13 ore. Il primo forte impatto è con il caldo, anche se è mattina presto (non ancora le sette). La temperatura è già intorno ai 30 gradi e durante il giorno salirà, ma quello che ti dà una energica e stoccante sferzata è il tasso di umidità quasi al 100%. In questi giorni, prima dell’arrivo delle piogge è così in Vietnam, da Nord a Sud.

Ma ci arriva un regalo inaspettato. La nostra guida Paht ci regala una sosta presso una piccola Spa. Il massaggio è accolto con gioia da tutto il gruppo ed è davvero un toccasana dopo le 13 ore di volo, la notte insonne e tutti i trambusti del viaggio.

Ho un pò di remore a condividere il viaggio, nel mio più estremo oriente di sempre, con dei colleghi che non conosco. Come sempre stupidamente scivolo nei pre-giudizi che mi portano distante. Ma, alla fine dell’esperienza, ho condiviso molto ed ho conosciuto persone cariche di umanità e molto positive. Grazie amici di viaggio.

Hanoi, la capitale, con il suo sinuoso e ampio fiume Rosso (Song Hong) e i suoi laghi cittadini, il grande lago occidentale Ho Tay e il mitico lago della Spada Restituita, Hoan Kiem. Capitale sognata e agognata dal padre della patria, lo zio Ho, è da qui che ancora oggi il glorioso Partito Comunista vietnamita governa le sorti del paese socialista accompagnandolo per mano verso il tanto vituperato capitalismo. La città si presenta nella parte governativa con l’aspetto sobrio e imperioso dei palazzi del potere, dominati dal suo ombelico, il Mausoleo Ho Chi Min, dove è esposto il corpo di Ho Chi Min, visitato giornalmente da migliaia di persone.

Ma il volto vero della città (quasi 7 milioni di abitanti) è quello di una metropoli  attaccata alla sue genuine radici contadine, con i suoi caratteristici mercati e i suoi commerci legati ancora al passato. Siamo a un passo dalla fastidiosa e incombente presenza del gigante cinese che non perde occasione per penetrare, in ogni modo, nel paese, forte della sua dominazione storica per oltre 1000 anni. Dopo i cinesi, i francesi, poi la guerra simbolo dei conflitti sporchi: il popolo è abituato alla guerra ed ha conservato, forte, una sua identità, nonostante le rivoluzioni, gli esodi, i campi di rieducazione ai quali anche il Partito Comunista di Ho non ha rinunciato.

18 maggio 2014. La mattina presto, alle cinque, ci avventuriamo su delle incredibili ed autentiche vespe anni 60 e andiamo alla scoperta della silenziosa città. Ma è questione di minuti e tutto si risveglia. E’ domenica, lungo i viali, in prossimità del lago, migliaia di persone in assetto sportivo si dimenano simulando passi studiati, accompagnati dai ritmi di mille melodie, orientali e occidentali. Ecco, dopo alcuni minuti il colorato e eccitato mercato dei fiori. Ma solo una breve sosta nella variopinta e multiforme moltitudine di petali e persone: ci aspetta la fila per vedere lo zio Ho.

Lunga, ordinata, silenziosa, riverente, accaldata, paziente: lunghe ore di attesa e poi finalmente si entra all’interno  del cubo di cemento, simbolo del paese. Fa freddo, molto. Non si può parlare, mani tese lungo i fianchi. Un breve giro intorno alla bara che conserva la salma di Ho Chi Min e poi di nuovo verso lo straordinario e inquietante caldo umidissimo tropicale. L’area che ospita il monumento funebre comprende anche l’abitazione, una palafitta versione elegante della case tipiche della campagna vietnamita,  intatta e ben conservata in cui Ho Chi Min visse per alcuni periodi dal 1958 al 60.

Un angolo suggestivo, verde e animato da migliaia di giovani. Il tempio della letteratura. Architetture classiche orientali, tipiche della tradizione vietnamita, ideogrammi riprodotti ovunque, anche nelle aiuole fiorite. Edificato nel 1070 per volere dell’imperatore Ly Thanh Tong e consacrato a Confucio. Dal 1076 è sede della prima università del paese. Verso la fine del 1400 fu deciso di ricordare i nomi e risultati dei candidati con la realizzazione di lapidi, ne restano 82 ognuna sorretta da una tartaruga in pietra. Ecco il nostro maestro, Cong, insegna all’università l’antica arte della scrittura, una grande passione radicata nei suoi superati 80 anni. Gli ideogrammi vennero sostituiti progressivamente dall’alfabeto latino a partire dal XVII grazie al missionario gesuita Alexandre de Rodhes. Ci coinvolge il maestro Cong con la sua passione e ci regala perle filosofiche della saggezza orientale che sta segnando il passo attratta dall’imperiosa avanzata dei modelli del capitalismo. Anche qui, in uno degli ultimi regimi comunisti al mondo il modello economico è questo. Stupisce Cong perché è autentico ed offre il suo intelletto ai nostri desideri: cosa volete che scriva per voi? Gli chiedo cosa succederà della meravigliosa scrittura arcaica dopo di lui, saranno i suoi discepoli a continuare la tradizione? “Il tuo cuore è come il mio cuore, ma non pensare a questo dolore, sorridi alla vita fai come me, amo troppe cose per odiare”.

Competente e capace la nostra guida, Phat, padre da poco tempo, ci regala la penultima visita della giornata. Il museo di etnografia presenta un allestimento curato e efficace. Ma il paese ha gioco facile nel presentarsi in un allestimento museale. Il governo infatti riconosce ben 54 etnie diverse. Quelle del nord conservano usi e costumi arcaici e si vestono ancora con gli abiti caratteristici; le centrali, degli altopiani, hanno abbandonato le vesti ma custodiscono la loro fierezza e i lori mercati: il museo presenta le tradizioni e gli stili di vita, e all’esterno un’accurata ricostruzione delle abitazioni e dei villaggi delle etnie.

La cena è una sorpresa: siamo da Comme chez Vous, una tipica casa di Hanoi la cui famiglia offre una cena con scuola di cucina per gli ospiti. Qui, sotto la guida attenta della nonna e della nipote ci mettiamo in divisa da cuochi e prepariamo gli involtini con la farina riso. Le nostre maestre sono comprensive e pazienti e viviamo un contatto autentico con la gente, i sapori e le fragranze della cucina del nord.

HALONG

19 e 20 maggio 2014. La strada è abbastanza lunga, ma il viaggio è sopportabile. Quasi 4 ore ed arriviamo a Bai Chay, in frenetica espansione turistica. E’ uno dei punti di imbarco delle crociere che offrono la visita nella cornice della straordinaria baia di Halong, patrimonio Unesco dal 1994. Fa sempre caldo e sempre 100% di umidità. Ma nella baia soffiano un po’ di brezze che accarezzano gli incredibili, impalpabili villaggi dei pescatori. Non sono lungo la costa. Decine e decine di isole (oltre 2000) pinnacoli che svettano dal mare allungandosi imperiosi verso il cielo, piccole spiagge dorate, anfratti misteriosi e ammalianti, ma nessun presidio umano, a terra. Le case dei pescatori galleggiano, i negozi, le scuole, gli uffici pubblici, sono perennemente nell’acqua. I pescatori del villaggio, condannato ad un eterno sciabordio, con le loro barche ci accompagnano in un piccolo, silenzioso e istruttivo giro. Ci concediamo uno sbarco verso una proda assorta nel silenzio, sulla piccola isola di Dao Tuan Chau. Una breve ma ripida e faticosa ascensione e dall’alto lo spettacolo di un paesaggio come dipinto nella fantasia di un sommo poeta. La nostra nave ci ospita durante la notte, le cabine sono molto comode e lussuose. Il giorno dopo torniamo verso il porto. Sulla via del ritorno in direzione Hanoi (ci attende il volo per Danang) la nostra tappa: un piccolo villaggio contadino (Yen Duc) che offre, ai visitatori, lo spettacolo caratteristico del teatro di marionette sull’acqua. Poco lontano, sempre nello stesso villaggio una famiglia ci ospita, con grandi sorrisi e tanta cortesia per il pranzo. Squisito.

HOI AN

21 maggio 2014. Atterriamo a Danang, attraversiamo la città dirigendoci verso Hoi An. Danag è la terza città del Vietnam, in rapida crescita orientata verso il bussiness. Dopo un’ora (30 km.) circa arriviamo a Hoi An. Un rilassante riposo sul resort curatissimo adagiato sulla lunghissima spiaggia. Mi rimbalzano nella mente gli sbarchi dei marines e rivivo le scene di una triste e drammatica storia militare. Quel mondo non esiste più soffocato nel dolore e scomparso nelle intermittenti memorie delle menti devastate dei sopravvissuti. Oggi i resort si affacciano sul mare e i turisti occidentali premono sulla stessa terra che divenne il triste palcoscenico di una assurda guerra, di tanta sofferenza e morte. Ma oggi tutto sembra superato….

Girovaghiamo per Hoi An, visitando mercati, il quartiere cinese e quello giapponese, separati di un caratteristico ponte ligneo, chiamato Chùacầuè, l’unico ponte coperto con una pagoda buddhista su ogni lato. Forse un po’ troppi negozi, ma il numero si adatta alla continua, frenetica e numerosa frequentazione turistica. Visitiamo anche il tempio cinese Fukien e una manifattura tessile che utilizza, per la sua curata e multiforme produzione, il baco da seta. La città, patrimonio Unesco dal 1999, fu il porto principale del regno dei Champa. Tra il XVI e il XVII secolo i traffici e le contaminazioni commerciali favorirono l’insediamento di giapponesi, cinesi, olandesi ed indiani. Le visite sono forse un po’ troppo sbrigative, la nostra guida, il cinquantaseienne Minh, il cui padre collaborò con gli americani a Saigon,  ha perso un po’ di entusiasmo nel suo mestiere e forse non riesce più ad uscire dalle routine. In questo modo i turisti sono tutti uguali e tutti ugualmente fastidiosi. My (Dam Thi Ha My), presenza continua durante tutto il viaggio, anche se inesperta, con la sua calma e la sua dolcezza mitiga l’impazienza e lo scarso appeal della guida.

HUE

22 maggio 2014. Adagiata lungo il corso del Fiume dei Profumi Song Huong, patrimonio Unesco dal 1993, capitale storica del paese (dal 1802 al 1945) è famosa per la cittadella imperiale del 1687. Nel 1968 fu praticamente distrutta durante l’offensiva del Tet. Giornata limpida e quindi un terribile caldo, ovviamente associato alla consueta umidità. La cittadella conserva elementi architettonici e culturali di grande interesse, ed è avvincente, quando è disponibile la spiegazione della guida, soprattutto le note di carattere linguistico: è un appassionato della scrittura antica.

Cat Tuong Quan: come dire, fuggiamo dal caos della città, dalla incombente calura, dagli asfissianti odori e rifugiamoci nel fresco tepore della nostra anima. Ecco ci siamo, arriviamo alla zen house Cat Tuong Quan, alimentazione vegetariana, quattro camere sobrie ed essenziali, meditazioni, bioarchiettura, yoga.  Lei, Ta Thi Ngoc Thao, è molto bella, sempre sorridente, ci invita alla lezione, semplice ed efficace di yoga. Un po’ si attenua il continuo sudore, al fresco e nella calma cornice di questa oasi di silenzio e di pace.

Sempre però mi accompagna il pensiero della guerra. Per la mia generazione quella triste pagina militare, che passa anche attraverso l’infrangersi del mito kennediano, rappresenta il simbolo più alto del pacifismo e del rifiuto di ogni violenza. Ma, come sempre, dietro ogni sporca guerra si nascondono fetidi giochi di potere, interessi economici, egoismi personali. E gli uomini. Mi chiedo se al posto di Westmoreland, che raccontava le sue impossibili versioni del conflitto convincendo Jhonson e altri dopo di lui a un sempre più massiccio dispiegamento di forze contro il Vietnam comunista, ci fosse stato un altro generale più scaltro e di ampie vedute, sarebbe finita così.

Un paese sempre in guerra per affermare la propria autodeterminazione, che scoprirà in Ho Chi Min il suo profeta. Quasi 1000 anni di dominazione cinese, dal II sec. a.C. fino all’anno Mille. Poi imperatori e regni vietnamiti. Nella seconda metà dell’800 l’occidente si scopre, autocompiacendosi della sua forza militare e della sua potenza distruttiva,  “il mondo migliore” e cerca di accaparrarsi zone strategiche per il controllo dei commerci e per le risorse naturali. La grande vocazione dell’occidente con la sua supponenza di essere, appunto il mondo migliore possibile. Dal 1858 la Francia impone il suo dominio coloniale sulla Cocincina e il Vietnam diviene una sorta di protettorato controllato in tutto e per tutto dai francesi. Durante la seconda guerra mondiale il paese viene invaso dai giapponesi, che sconfitti, favoriscono la proclamazione dell’indipendenza da parte dei comunisti nazionalisti di Ho Chi MIn. Ma la Francia tenta di ristabilire il suo predominio e inizia così la guerra d’Indocina tra il 1945 e 1954. I francesi usano il pugno duro: bombardano Haiphong (6000 morti), conquistano Hanoi. Ma Ho Chi Min, aiutato dalla Cina, scatena la guerriglia, il Nord si ribella e la Francia mantiene il controllo sulle città principali. Gli USA sostengono i nazionalisti in funzione antifrancese, ma dal 1950 Truman, preoccupato di una vittoria del comunismo targato Stalin, autorizza il sostegno militare alla Francia. Ma questo non basta ad evitare una bruciante sconfitta ai francesi, che vengono battuti nel 1953 in Laos e sconfitti nel 1954 definitivamente in Vietnam nella mitica battaglia di Dien Bien Phu.

La conferenza di Ginevra del 1954 segna la fine della guerra e sancisce l’indipendenza dei paesi indocinesi. Purtroppo si sceglie la strada peggiore: si prende tempo dividendo il Vietnam al 17° parallelo: a nord i Vietminh di Ho Ci Min, a Sud governo filo-occidentale, autoritario, cattolico ed anticomunista; vengono fissate libere elezioni per unificare il paese da tenersi entro due anni. Non si tennero mai.

Nel 1957 la lotta del Nord per la riunificazione riprende con forza e nel frattempo al Sud si va sempre più consolidando un regime autoritario e corrotto, con sovrani fantoccio, sostenuto dall’occidente, in funzione anticomunista. Sempre a sud inizia a formarsi una forte opposizione interna con azioni di guerriglia partigiane sostenute dai comunisti del nord. E’ in questo periodo che inizia l’invio di consiglieri politici e militari da parte degli Usa a sostegno del governo suddista. Nel 1960 si costituisce il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) diretto dai comunisti. Il progressivo impegno degli americani coincide con il 1964, ma già nel 1962 il contingente militare contava 12.000 uomini. Nel 1963 muore Kennedy e Johnson autorizza l’intensificazione dei bombardamenti e, dopo molteplici rifiuti e tentennamenti, autorizza Westmoreland (nominato comandante generale delle forze americane) ad impiegare l’esercito con truppe da terra: l’utilizzo dei marines inizia nel 1965. Nel 1967 si contano 472.000 soldati americani impegnati. L’America rimane sempre più impigliata nelle rete invisibile della maledetta palude asiatica e non riesce ad uscirne (non vince e non si ritira); nel 1968 riceve un durissimo colpo con l’offensiva del Tet, i giorni del capodanno vietnamita: gli Usa, grazie ai rapporti falsati di Westmoreland erano convinti di avere la vittoria a portata di mano, con i giorni del Tet si resero conto (insieme a tutta l’opinione pubblica mondiale) di essere vulnerabilissimi. I guerriglieri e l’esercito del Nord sferrarono un durissimo attacco occupando le maggiori città del paese ed addirittura interi quartieridi Saigon. La reazione americana e dell’esercito del Sud fu durissima, tutte le città vennero riconquistate, ma a livello mediatico e piscologico segnò l’inizio della sconfitta americana.

E’ da questo momento infatti che gli USA decidono per un progressivo disimpegno: nel 1968 sono impiegati 540.000 uomini, nel 1971 il contingente americano conta solo 50.000 soldati. Inizia a materializzarsi il completo fallimento degli Usa. I bombardamenti, però, non cessano, aumentano le missioni dei B52,  viene intensificato l’uso di armi chimiche, il famigerato orange, un agente defoliante sparso ovunque per scoprire i rifugi dei vietcong e il mitico sentiero Ho Chi Min, nascosto nella giungla, via di comunicazione strategica per assicurare le forniture alla guerriglia.

Gli accordi di pace di Parigi (1973) segnano la una linea obbligata. L’America decide di lasciare il sud al suo destino, dopo 5 milioni di morti tra i vietnamiti e 58.000 soldati americani. Alla fine della guerra si conteranno circa 300.000 missioni aree con 860.000 tonnellate di bombe sganciate a terra: un quantitativo mai utilizzato nell’intera storia dell’uomo.

Nel 1975, il 30 aprile,le truppe nord-vietnamite entrano a Saigon. Una guerra che si conclude con una rivoluzione, una rivoluzione che porta alla riunificazione del paese. Ma il regime non saprà rinunciare, come gli altri regimi comunisti, alla tentazione dei campi di rieducazione.

23 e 24 maggio 2014. Phat, la nostra guida a Saigon, giovane padre e pronto a cogliere le grandi possibilità di lavoro che oggi offre il turismo, ci racconta che le donne vietnamite per secoli sono state abituate all’assenza degli uomini. Infatti gli uomini sono stati sempre in guerra. A soli 3 anni dalla fine delle guerra, nel 1978, in seguito ai continui attacchi dei khmer rossi lungo il confine cambogiano, il Vietnam invade la Cambogia. Per il mondo è la liberazione dal sanguinario Pol Pot, per il Vietnam è ancora guerra. Il regime dei khmer viene rovesciato e la reazione della Cina non si fa attendere, il gigante invade il nord del paese: è la guerra dei 17 giorni. Il Vietnam resiste e impone un regime amico in Cambogia. Dal 1986 con la glasnost l’impero comunista progressivamente si sgretola e anche per il Vietnam, dopo il suo ritiro dalla Cambogia nel 1989,  inizia la fase del comunismo capitalista.

Lasciamo Hue ma prima di imbarcarci per Ho Chi Min City visitiamo una bella e antica casa tipica di Hue con un rigoglioso e sereno giardino. E’ la casa di Linh Mo ci offre il tè del pomeriggio e un vasto assortimento di frutta.

Ecco ci siamo. Saigon, metropoli asiatica. Quasi 12 milioni di abitanti, un modello occidentale incassato nel delta del Mekong e nella cornice di uno degli ultimi regimi comunisti. Il nostro hotel è in centro e dal 20mo piano si gode il panorama della frenetica, luccicante, misteriosa, struggente città d’oriente.

Di prima mattina ci dirigiamo verso Qu Chi, (70 km da Saigon), un villaggio che per molti vietnamiti rappresenta un luogo simbolo della tenacia del popolo. Accanto al villaggio gli americani insediarono una delle loro basi militari più grandi: non riuscivano a spiegarsi i continui raid dei partigiani che partivano proprio da quest’area. Come avevano fatto con i francesi, anche nella guerra con gli Usa i vietcong utilizzarono una fitta rete di tunnel sotterranei, vere e proprie cittadelle fortificate, vie strategiche per la guerriglia e per i rifornimenti. Oggi è tutto molto turistico, anche se l’esperienza ha una sua validità documentaria e culturale. Si possono vedere tutte le tecniche utilizzate dalla guerriglia contro gli americani e i tunnel stanno ancora sotto i nostri piedi, perfettamente conservati.

Penso. Ma come potevano con questo clima bestiale, con questo caldo umido che colpisce ogni centimetro della pelle, in una situazione ambientale sconosciuta e completamente insolita, vincere la guerra? Per un robusto ragazzo del Kansas, in assetto da battaglia, quando mai sarebbe potuto infilarsi in un uno di questi minuscoli ingressi dei tunnel e combattere, da pari a pari con gli agili vietcong. Lo avverti, lo percepisci e ne hai la conferma toccando con mano il clima e l’atmosfera di Qu Chi.

Rientriamo e dopo una sosta al traboccante e opulento mercato cinese all’ingrosso, andiamo a teatro. Il teatro dell’Opera si trova tra l’hotel Caravel e il Continental, i due edifici ospitarono gli ultimi giornalisti occidentali prima della conquista della città da parte dell’esercito del nord.

E’ una vera sorpresa l’opera messa in scena. A’O Show mette in mostra il Vietnam con le sue tradizioni, la sua storia, la sua contemporanea modernità, il tutto con coreografie, materiali, acrobazie e danze davvero geniali.

E’ l’ultimo giorno del nostro viaggio. Andiamo a sud, dove il grande fiume incontra il suo oceano. Per lunghezza è l’undicesimo fiume al mondo. Nasce incassato tra le vette tibetane e dopo aver attraversato, lo Yunnan, il Laos, la Birmania, la Thailandia, la Cambogia, giunge in Vietnam formando uno degli ambienti deltizi più estesi del pianeta. Gli ecosistemi che presenta l’ambiente del delta sono straordinariamente vari ed interessanti, purtroppo il Mekong non è immune dalla malattia dei nostri fiumi.  Presenta infatti gravi problemi di inquinamento, per le molteplici attività umane che si trovano lungo il suo corso e che si concentrano nell’area del delta.

Ci imbarchiamo a Bien Tre e iniziamo la nostra navigazione. Hanh è sempre gentile e premurosa, incontriamo la guida locale, la piccola Cuc. Ci fermiamo presso le fornaci che producono mattoni. Un paesaggio dantesco, i camini fumano continuamente alimentati da ogni piccolo pezzettino di cocco, niente della pianta viene abbandonato e gli scarti, insieme alla pula del riso vengono utilizzati per far funzionare le fornaci. Altre soste, piccoli laboratori artigianali familiari. Tutto arriva dal fiume, grazie alle sue risorse sopravvivono migliaia di famiglie. Ma l’impatto sull’ambiente è forte, anche se tra la consolidata e secolare vocazione produttiva, fabbriche di mattoni, allevamento di pesce, piantagioni di riso fanno capolino iniziative per la conservazione e la tutela degli ecosistemi in una area pur densamente popolata ed estesa per 40.000 kmq. La famiglia che produce tappeti e stuoie con la fibra di cocco, produzione artigianale di caramelle di cocco, ognuna con il suo punto vendita e il punto ristoro per i visitatori.

Ecco, finisce il nostro giro fluviale e rientriamo verso Ho Chi Min City. Una breve sosta per riprendere i bagagli e poi in aeroporto. Salutiamo Hanh, che corre dal suo piccolo bambino di tre mesi, giovane mamma premurosa e impegnata, salutiamo My che è stata con noi per tutto il viaggio, sempre disponibile e pronta ad intervenire per ogni esigenza di questi benedetti italiani, sopportando pazientemente tutti noi.

Come sempre, alla fine di ogni viaggio, ognuno porta il suo bagaglio: impressioni, sensazioni, ricordi, pensieri. Resta negli occhi la semplice disponibilità della gente, il sorriso gentile e continuo delle persone che incontri. Certe volte non riesci a capire fino a che punto sia spontaneo: gli occidentali da queste parti (purtroppo da molte parti) si sono comportati da sempre come padroni ed oggi rappresentano una delle voci più importanti per l’economia del paese. Ma nel profondo degli occhi riesci, forse a distinguere il vero sorriso, sincero ed autentico. Goodbye Vietnam.

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