Isola d’Elba. San Giovanni. Maggio 2002

Isola d’Elba. San Giovanni. Maggio 2002

Mi chiedo se esista una vocazione negativa, una sorta di maledizione territoriale o sia solo sfortuna per quanto attiene alla gestione territoriale della zona di San Giovanni, la periferia in campagna e sul mare di Portoferraio. Di tanto in tanto spuntano progetti assurdi di utilizzo, di infrastrutture e pian piano, subdolamente, vengono realizzati interventi che impoveriscono e deturpano l’area. Area che in assoluto sarebbe esagerato definire di straordinario interesse ambientale, ma che in concreto, per la nostra isola e per il comprensorio portoferraiese rappresenta un piccolo tassello della ricchezza ambientale del nostro scoglio.

Un primo fondamentale elemento va scomparendo progressivamente, come sta scomparendo in tutta l’isola, ma qui si nota ancora di più data la naturale vocazione di una pianura ricca di acqua: l’utilizzo agricolo del suolo. Abbiamo iniziato col costruire strutture ricettive e questo può andare anche bene se fosse stato accompagnato, negli strumenti urbanistici, passati e presenti, da un complementare rilancio dell’agricoltura; invece si è preferita la strada, certo più facile della lottizzazione (vedi Bucine), e vedremo cosa ci attende nel nuovo piano strutturale.

E’ bene sottolineare che rilancio dell’agricoltura non significa che tutti dobbiamo tornare a fare i contadini,  o che gli elbani che dispongono di terreni debbono per forza essere servi della gleba, significa che è opportuno vincolare eventuali recuperi edilizi ad un utilizzo agricolo delle aree a questo votate, grazie agli incentivi e ai contributi che in un’area protetta dovrebbero obbligatoriamente essere previsti; penso a circuiti agrituristici di qualità o a diverse forme già in funzione in altri parte del nostro continente. E’ solo in questo modo che si salva il territorio, la sua ricchezza, le sue risorse e non lo si impoverisce con seconde e terze case che non servono a nessuno (o a pochissimi), se  non in pochi mesi all’anno, e non fanno altro che aumentare la pressione sul fragile equilibrio dell’isola, sulla sua acqua, sulle sue spiagge.

Secondo elemento. Le infrastrutture realizzate e proposte. Cito ad esempio per la prima categoria la cementificazione, effettuata negli anni ’80, del Fosso della Madonnina: intervento criticato subito dagli ambientalisi di Elbaviva, quelli fissati con le dune di Lacuna e con Mola (fissazione leggitima perché guarda caso Mola ancora attende, accerchiata da interessi diportistici miliardari e Lacona dopo una lunga attesa di essere cementificata, cade sotto i colpi del cemento, per assurdo, proprio dentro il Parco Nazionale, incredibile spettatore); la cementificazione dei corsi d’acqua rappresenta un elemento che accelera i processi alluvionali  invece che attenuarli, questo dicevamo al tempo dell’intervento, e questo è stato tragicamente e scientificamente dimostrato, non solo, essa compromette per sempre gli ecosistemi ricchissimi e presenti negli ambienti acquatici; cosa puntualmente successa nel nostro Fosso. Ma veniamo alle infrastrutture quelle proposte; abbiamo sentito parlare e proporre il raddoppio della sede stradale esistente, un autostrada che doveva risolvere i problemi di traffico per quei famosi 20 giorni d’agosto, consumo di territorio e di risorse, aumento di traffico e inquinamento per soli 20 giorni di sbornia estiva, progetto inutile, dannoso e distruttivo; ma certo in linea con quella mancata attenzione alle aree agricole che è tipica dei piani regolatori di tutti i comuni dell’isola:  se non si rilanciano le attività tradizionali e non si riconverte l’economia turistica il rischio a cui si va incontro è proprio questo. Poi è spuntata l’idea dell’eliporto; grandi polemiche e grandi discussioni, ma anche in questo caso era San Giovanni l’area deputata; quasi a dire che comunque le aree agricole possono essere riempite, tanto ormai “chi vuoi che coltivi i campi ?”

Altra idea fissa delle varie amministrazioni: il porto turistico. In questo caso l’impatto dell’intervento dipende molto dal tipo di porto che si vorrà realizzare. Sempre gli stessi fissati ambientalisti parlavano alla fine degli anni ’80, a proposito della smania di porti turistici da parte di tutti i comuni dell’isola, di  adeguamento e riutilizzo delle strutture esistenti; questo può essere il caso esemplare di San Giovanni, dove esiste una piccola struttura che adeguata alle esigenze e razionalizzata nell’uso può rappresentare un intervento esemplare di riutilizzo intelligente e sostenibile, senza per questo creare megainsediamenti che non servono a  nessuno e tantomeno alla sostenibilità ambientale. Da notare che la piccola area salmastra e paludosa è una zona straordinaria dal punto di vista naturalistico; qualche tempo fa è stata da me paragonata alla foresta amazzonica; per chiarire: non significa che è uguale, ma che nella scala della nostra isola, un elemento di biodiversità come le saline di San Giovanni può rappresentare nell’economia dell’ecosistema, quello che su scala planetaria rappresentano ambienti di grande ricchezza ecologica come la foresta amazzonica.

Ma torniamo al nostro San Giovanni. Ecco che viene realizzato, sempre negli anni 80 il centro socio sanitario per disabili; una struttura che in base alle tipologie egizie dell’area è un pugno in un occhio, quasi a dire “zona riservata”. Ma non basta questo e l’area viene identificata dal ASL per la realizzazione del Centro per Anziani, terreni venduti o espropriati per realizzare una legittima sistemazione, purtroppo terreni di straordinario interesse agricolo che vengono così riempiti con il cemento nonostante il piano strutturale nella sua lunga introduzione parli di conservazione dell’ambiente e di agricoltura. Quello stesso piano che individua queste zone come aree di completamento e quindi bisogna finire il riempimento. Continuiamo quindi con interventi di questo tipo, che non sono certo residenziali di qualità, ma che sono utili socialmente. Bisognerebbe chiedersi se sono davvero utili socialmente in quella zona:  perché, in tale dislocazione, forse possono innescare un processo di ghettizzazione e isolamento di categorie che avrebbero bisogno dell’esatto contrario. Sarebbe bello che qualche voce da parte di qualche amministratore si levasse a difesa e salvaguardia di quello che inesorabilmente pian piano stiamo perdendo, che si chiama qualità della vita; o quanto meno chi amministra avesse in testa una scenario di governo del territorio davvero sostenibile e equilibrato che vada oltre i mandati elettorali.

Marino Garfagnoli. Verdi Arcipelago Toscano

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