Isole e impegni. Gin Racheli e Alberto Riparbelli. Novembre 2003

Isole e impegni. Gin Racheli e Alberto Riparbelli. Novembre 2003

Sono trascorsi molti giorni, è passata una calda e torrida estate, dalla scomparsa di Gin Racheli e Alberto Riparbelli, tacitamente accordatisi per la loro contemporanea dipartita.

Vorrei subito parlare di loro, per ricordarli e ricordare il loro impegno per le nostre terre; ma si impongono preliminarmente due sintetiche riflessioni su due aspetti di gestione del nostro territorio, questioni che sono intimamente legate all’opera, agli studi e ai contributi di Gin e Alberto.

Abbiamo con Gin combattuto fianco a fianco per il nostro Parco, abbiamo sperato che potesse essere, come Lei diceva “una prima centrale di recupero”, ma già allora, nel 1996 era pessimista, conoscendo le fumose riunioni nei ministeri, i burocrati ignoranti, i politici conniventi di interessi forti. Infatti il parco è li. Fermo, immobile, come la terra e le rocce che dovrebbe proteggere, perso nei cliché, vecchi e nuovi che gli si vogliono appiccicare, negli impensabili stereotipi promozionali vuoti di contenuti: si cambia il marchio perché isole toscane si capisce meglio di arcipelago toscano, si stampano depliant promozionali sulla bontà delle aree protette a mare, ma tutto rimane fermo e immobile.  Il mare il quel mare che ha impregnato la vita di Gin oggi diviene l’impossibile obiettivo di una novella campagna in nome dell’ambiente da parte di falsi paladini: si tenta di spostare l’attenzione sulla necessità di proteggere il mare, come se i 60.000 ettari compresi all’interno del nostro Parco non fossero sufficienti, si profondono energie e risorse economiche per dimostrare la necessità impellente di raggiungere tale obiettivo, ma a terra cosa succede?  E il mare che è già protetto che fine sta facendo. Vuoti discorsi senza senso, nessuna applicazione pratica.

 

Si muovono solo alcuni finanziamenti facili, perché la politica non è al servizio della gente e della città, ma si fa con gli amici degli amici e allora tutto diviene semplice, basta avere gli uomini giusti ai posti giusti. Arrivano così 17 miliardi, forse la più alta fetta di denaro degli ultimi anni, si decide di spenderli con un commissario, non si discutono con nessuno gli interventi e gli obiettivi, e così non si sa bene cosa succederà nelle aree minerarie. Ma il parco è lì impantanato nella bagarre presidenziale, con un commissario frutto di un nepotismo dispotico d’altri tempi.

La vera sfida non si vuole giocare: è una battaglia culturale con la quale costruire un nuovo tessuto culturale connettivo delle isole, un ruolo che solo il Paco può avere, ma al quale, per ora nessuno ha minimamente pensato.

Battaglia politica persa dalla sinistra (addirittura alcuni, a sinistra parlano di un commissario che, malgrado tutto, ha lavorato bene) incapace di indicare, prima, un presidente all’altezza del compito, con un  percorso credibile, e incapace, dopo di costruire una seria proposta sulla presidenza e sugli altri organi di gestione.

In questa triste vicenda l’area politica del centro sinistra emerge solo nel protagonismo forzato e positivo della Regione, di un presidente intelligente e capace;  ma solo a Firenze, qui e ad altri livelli rimane il deserto. Gli uomini, un tempo migliori, sono consumati dalle patologie del potere, incapaci di comprendere i nuovi meccanismi che governano l’ambiente e la società, inadeguati ad interpretare in chiave moderna i bisogni e fornire adeguate risposte.

Passerà anche questa stagione. E chissà quante altre occasioni perderemo per non aver saputo coraggiosamente tagliare i ponti con un vecchio modo di far politica, per poi attingere al grande patrimonio di idee e di esperienze della sinistra e pescare le idee e gli uomini giusti.

L’opinione pubblica rimane tragicamente sorpresa dagli scandali che interessano oggi la nostra isola, delle ripetute indagini delle forze dell’ordine e della magistratura su presunti abusi edilizi, su piani regolatori, e altri strumenti che dovrebbero regolare la vita di una comunità. L’opinione pubblica assiste scandalizzata e i media forniscono particolari che rendono sempre più l’immagine di un’isola del malaffare. Non possiamo, tutti, non essere preoccupati e delusi da questo stato di cose. Ma alcuni di noi, non possono essere sorpresi. L’improvvisazione con la quale molti sono diventati amministratori, il grado zero di preparazione per affrontare le problematiche di governo del territorio, il quadro di riferimento economico e sociale ha prodotto progressivamente una società in cui il grado di corruttela è ai massimi livelli, in cui per ottenere qualsiasi cosa è necessario essere amici degli amici, in cui il campanilismo dietro il quale si nascondono gli oppositori della semplificazione amministrativa,  rappresenta le lobby di potere che nei piccoli comuni controllano le pubbliche amministrazioni attraverso pacchetti di voti in cambio di concessioni edilizie, quasi sempre seconde e terze case.

Una situazione che è l’inevitabile prodotto della corruttela e della ragnatela di oscuri interessi massonici, di club finalizzati solo a proteggere gli interessi dei propri adepti, in un deserto progettuale di idee e di voglia di fare: è così si arriva agli scandali edilizi e alle corruzioni grandi e piccole sulle quali la magistratura (della quale Alberto era consulente per le questioni edilizie sull’arcipelago) ha finalmente messo le mani.

Ed è a questo punto che spesso si colloca l’incapacità del centro-sinistra, in questa singolare parte della Toscana, una incapacità di fondo segnata da mille preoccupazioni elettorali, da una ricerca del consenso che si rivela controproducente, una incapacità di proporre le cose concrete di cui questo territorio ha bisogno, di fornire le risposte che i cittadini attendono oltre la loro visione a volte parziale ed egoistica. E troppo spesso i giochi finiscono in vista delle poltrone, per le quali non si ha la forza, la voglia ed il coraggio di proporre scelte nuove, di rottura con il passato, adeguate ai cambiamenti della società, del modo e dei modi di vivere. Allora si sceglie: vecchie strategie politiche, inutili equilibrismi per favorire “quelli che sicuramente portano voti”, grigie personalità che entrano e escono dalle segreterie dei partiti secondo le convenienze. La società, spesso organizzata in forme associative, esprime bisogni e necessità che sono fuori dalla portata propositiva e dalla capacità di realizzazione di certe forze politiche e della stragrande maggioranza dei nostri attuali amministratori e politici di professione.

 

Ma vorrei parlare finalmente di Gin e Alberto. Il tempo lentamente cura le ferite e rende sempre più appannati i ricordi. Ma la loro scomparsa rappresenta la perdita di due simboli per tutto il nostro arcipelago: la perdita di un patrimonio di conoscenza e di una vasta elaborazione intellettuale di cui resta la grande forza propulsiva per lo sviluppo sostenibile delle isole che loro tanto amavano.

Ricordo, ormai, quasi 20 anni fa, un incontro in casa di Alberto, esisteva già Elbaviva di cui ero il presidente ed eravamo là a discutere sulle idee che Gin, come una fucina aveva in testa sul futuro delle isole italiane, sul suo grande progetto delle Scuole del Mare, sul nostro ruolo, quello delle associazioni locali di cui aveva molta stima, come per tutte le associazioni insulari nate dal basso, sul futuro di un parco non ancora nato, sulle proposte che in tal senso potevamo fare, sugli uomini su cui puntare. Come sempre Lei aveva idee molto chiare e di facile applicazione.

Ricordo, soprattutto, l’entusiasmo con cui entrambi, nonostante le già molte disillusioni, affrontavano tali problemi. Entusiasmo che ci ha accompagnato fino all’ultimo istante della loro vita. Entusiasmo che ci accompagna ancora oggi,  rileggendo i loro scritti.

Così dopo aver riscoperto le nostre isole toscane, rileggendole attraverso gli insegnamenti di Gin, sono andato a cercare le altre, quelle di cui lei mi parlava nelle sue escursioni all’Elba, quelle di cui Lei raccontava la gente, soprattutto la gente, della quale rimaneva colpita. Così ho visto le sarde, quelle della Maddalena, vicine e imprendibili e le siciliane lontane e scontrose.

Così pensavo, mentre vedevo scorrere dal mare la costa di Alicudi, la più isolata e la meno abitata, la più isola di tutte le Eolie. Conoscere e toccare il suolo che prima di me hai visto, quelle terre che come le nostre hai conosciuto tanto intimamente da comprenderle nella loro essenza, descriverle, raccontarle e amarle così tanto da dedicargli una lunga parte della tua vita, vedere quei luoghi che tu prima di me hai visto, affondare il pensiero dentro al tuo pessimismo con il quale ancora qualche anno fa le descrivevi, e trovarsi come in tante altre occasioni in sintonia nella stessa linea logica di quel pensiero fatto di amore per il mare e per le sue terre, di quel pensiero che oggi quasi tutti i benpensanti praticoni di partito definiscono sostenibile. Pensare a quelle dinamiche perverse che in nome del turismo distruggono ogni angolo di ogni piccola isola del nostro paese, una distruzione che è fisica, morale e civile.

Mi chiedo cosa rimarrà tra un po’ di anni delle splendide utopie di Gin e di Alberto, dell’amore viscerale per le loro isole, per il mondo del mare di cui volevano salvare l’essenza più intima, costituita dalla millenaria cultura marinara. Non a caso Gin pensava fortemente di poter finalmente realizzare le sue “scuole del mare” per non disperdere quel grande patrimonio culturale sul quale costruire i nuovi modelli di “uso” delle isole. Parlava spesso del decadimento e dell’assenza contemporanea di della civiltà marittima che per secoli aveva governato le nostre coste, le nostre isole, i nostri mari. Fatto assurdo in un paese come il nostro proteso del centro del Mediterraneo. Da questa constatazione le sue proposte: centrali per il recupero del mare, una su ogni arcipelago, con precisi compiti, e soprattutto la creazione delle Scuole del Mare, quale presidio culturale per ri-formare le nuove generazioni, in chiave moderna su quelle professioni legate alle attività tradizionali (evitando di sfornare ogni anni inutili schiere geometri; e questo succede a Lipari, come all’Elba) che assicurassero il recupero culturale e ambientale dell’immenso patrimonio insulare italiano, garantendo il futuro sostenibile della gente delle isole.

Oggi resta il progressivo decadimento del nostro mare e del tessuto sociale e ambientale delle nostre isole, qui nelle toscane, e altrove, salvo rarissime eccezioni, nelle sarde, nelle campane e nelle siciliane.

Decadimento che è smarrimento e perdita della cultura che per millenni ha governato questi piccoli lembi di terra. Nuovi fenomeni economici si innestano dagli anni 70 su queste terre, la classe politica non governa tali fenomeni, non programma gli interventi, ma asseconda quello che l’economia chiede, e cosi si cementificano le isole, si svendono pezzi della nostra storia e della nostra natura, e solo oggi iniziamo a chiederci se tutto questo ha un senso. I parchi, le aree protette non riescono a decollare e, dopo una stagione che sembrava precludere ad un risveglio morale, con l’entusiasmo per vedere finalmente costituite le prime aree protette, oggi si assiste ad un afflosciamento progressivo, nessun serio obiettivo raggiunto, solo chiacchiere e convegni, ma i problemi restano, tutti lì in attesa di essere compresi e risolti.

 

E così Gin scriveva nel 1999; parole, quanto mai attuali, che suonano come un testamento spirituale: “L’isola è piccola nel mare, anzi limitata, finita, esigua, delicata…dopo aver studiato, uno per uno, la maggior parte dei microcosmi marini italiani, ecco una prima considerazione: quel segreto di civiltà non solo è andato perduto, ma l’abbassamento della capacità di visione e quindi di volontà politica consolidatosi negli ultimi decenni a tutti i livelli istituzionali rende imprevedibile e sconsiglia qualsiasi ottimistica visione di salvazione delle culture isolane e addirittura del loro ambiente naturale …socialmente parlando, noi stiamo scontando gli effetti degradanti e destabilizzanti sulla popolazione della miscela esplosiva tra materialismo economico, prevalenza dei diritti sui doveri, permissivismo, corruzione generalizzata. Perciò ne gli abitanti ne i visitatori sono più animati dall’esercizio di valori etici, ma soltanto dall’esercizio di un diritto di consumo e di lucro facile e abbondante …Il mio è dunque un bilancio in perdita. E tuttavia non mi pento di aver dedicato vent’anni di vita a scandagliare in vitro i microcosmi del mare: ho fatto molte scoperte e realizzato alcuni sviluppi validi per la mia formazione. Ad esempio ho debellato la perniciosa illusione che ci siano soluzioni facili e razionali per fermare l’arretramento. Si tratta di intraprendere un’opera lunghissima e faticosa, generazionale, di formazione delle coscienze, opera di cui nessuno degli artefici è destinato a vedere il termine e che in definitiva, non è altro che la costruzione di una nuova civiltà del mare. Allora, e solo allora, si potrà tornare a navigare per riscoprire nelle isole gli scrigni degli antichi miti…La continuità storica di identità delle attuali comunità isolane, non è certamente affidata al turismo, bensì alla formazione dei giovani a vivere il proprio ambiente e a governarlo. L’esaltazione del turismo quale unica prospettiva futura per le piccole isole, proviene da quella stessa mentalità del profitto speculativo e parassitario, devastante, che ambientalisti, sociologi, scienziati, uomini di cultura si sforzano da anni di combattere e di denunciare come la più perniciosa causa del decadimento velocissimo dei microcosmi marini. Oggi è indispensabile contenere, limitare, disciplinare i flussi dell’aggressione estiva e ricomporre invece l’economia integrata di tutte le risorse per preservare la comunità isolana dal rischio di stasi economiche improvvise, implicito nella monocultura turistica.. “

Sono molti anni che, in compagnia di Gin, di  Alberto, di altri, inutilmente predichiamo questi concetti, sono molti anni che tali concetti rappresentano il filo logico dei moltissimi studi economici, scientifici e di piano che si sono prodotti, molti anni che questi concetti compaiono a sprazzi, a volte in maniera sconclusionata, nelle premesse degli strumenti urbanistici dei troppi comuni che abbiamo nell’arcipelago, premesse che, per ora sono solo vuote parole.

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