Radio Capital & Lonely Planet 2015. Isole: Capraia e Pianosa
Arcipelago Toscano, tre isole, viaggio nella natura e nel tempo
Così iniziamo come qualsiasi altro turista si avvicina per la prima volta a Capraia, partiamo con la motonave da Livorno (qui fa servizio la flotta semi – pubblica Toremar con il traghetto Liburna).
Incontro i compagni di viaggio, sono immersi nei frutti di mare della generosa e prorompente Livorno, e qui al ristorante hanno già riconosciuto il team della trasmissione, Doris e Capital in the World sono famosi e molto seguiti in città. Un po’ si sorprendono, ma si vede che ne sono felici.
Ci imbarchiamo e al controllo biglietti, incontro Mario. Sono quasi 30 anni che non ci vediamo, infatti non mi riconosce subito, ma appena realizza, faccio un figurone, “ma conosci tutti”, mi dicono; abbracci, baci, e racconti per tutti. Racconti di quel paese dell’Elba orientale immerso nel suo antico destino di miniera, oggi alla ricerca della sua nuova identità di località turistica.
Partiamo. Dopo un’oretta incrociamo Gorgona, boscosa e poco accessibile per la permanenza della colonia penale agricola. Verde e collinosa, sfila ai nostri sguardi, strizzandoci l’occhiolino, imprendibile.
Il Comandante ci accoglie in plancia, raccontandoci un po’ dell’isola e delle sue serate capraiesi: notti stellate, in cui lui, saggio uomo di mare, si lascia andare e racconta ai coraggiosi turisti del cielo e delle stelle.
Eccolo il profilo morbido e sinuoso di Capraia,Aigylion, nome attribuito all’isola dai naviganti greci diretti a Massalia (Marsiglia). Isola delle Capre (dal sostantivo gresoàighes) come per i greci lo era anche l’isola del Giglio.
Arriviamo; il piccolo porticciolo si è impreziosito di un elegante passeggiata ed alcuni piccoli ma raffinati negozi. Sono solo 800 metri di strada per arrivare in collina, al paese. Si fanno a piedi, oppure con lo scuolabus comunale che effettua servizio continuo.
Le uniche auto, pochissime, le vedi e le senti là, in quel piccolo tratto di strada, poi ti immergi completamente nella dimensione della piccola isola. Come non citare Gin Racheli: il mondo delle isole parla il linguaggio dell’anima.
E Capraia parla all’anima attraverso la sua natura giovane e maestosa. Qui non ci sono spiagge affollate di turisti, il piccolo paese accoglie al massimo un migliaio di ospiti, il resto è natura selvaggia, scogliere a picco sul mare, grotte che si immergono nelle profondità dell’antico vulcano, e straordinarie formazioni geologiche. A Capraia è obbligatorio fare un giro lungo costa, al tramonto verso ovest, la mattina nella parte orientale. I cromatismi si specchiamo nel mare e le pareti rocciose raccontano, come in uno straordinario cartone animato, la poderosa combinazione di forze da cui nasce l’isola.
Certo Capraia ti strapazza e ti accarezza, qui la natura regala il colore suadente dell’oleandro spontaneo, o l’insolita e sorprendete presenza, tra le rocce laviche, della palma nana, o la sagoma in volo dell’elegante falco pescatore. Insomma isola selvaggia, che ti accoglie nella sua estrosa e multiforme interpretazione di natura allo stato puro.
Molte ore in mare, nelle ore più calde, ma la placida tranquillità del Tirreno accompagna con passione le nostre conversazioni sulle isole, la barca scivola sul mare piatto sfiorando la grande montagna di granito dell’Elba.
Poi arrivi a Pianosa, e anche qui uomini, storia e natura ti toccano. Toccano altre corde, attraverso canoni di bellezza, altri e diversi. Non possiamo dire di più o di meno. E’ diverso il contatto, è diverso il sentire l’isola e, forse, questo succede su tutte e sette le isole del nostro Tirreno.
Pianosa è la regina del silenzio, il vecchio paese disabitato ricorda vagamente cittadine minerarie un tempo pullulanti di vita, la sua architettura esalta la fantasia con le torri merlate, le cupole morbide, il vecchio porticciolo, il più bello del mondo. Pianosa è l’isola della separazione e del confino, una grande piattaforma di candido calcare che si specchia in un mare turchese d’altri tempi. Qui i primi cristiani trovarono rifugio dalle persecuzioni, scavarono oltre due chilometri di catacombe, una visita obbligata, piena di fascino. Qui fu esiliato e ucciso per ordine di Augusto dei successori al trono. Passava il suo esilio dorato nella sontuosa villa sul mare. Qui furono confinati gli oppositori al regime fascista. Qui il carcere duro fino al 1996 segnava il ritmo della piccola comunità residente.
Il piccolo traghetto di linea dall’isola d’Elba, ogni giorno, specie in stagione, porta i visitatori alla scoperta dell’isola carcere, restano abbagliati dal mare, dalla spettacolare Cala Giovanna, ed alcuni temerari si avventurano con le guide del Parco nelle escursioni. Dal 2011 funziona anche il piccolo albergo gestito da una cooperativa sociale. Ed è alla sera, quando la barca lascia l’isola piatta, che il buio e il silenzio regalano emozioni esaltanti e contrastanti. In bici lungo le strade sterrate arrivi nelle vecchie diramazioni carcerarie, visiti le stalle, il caseificio ed i pollai, e quando è possibile ti affacci lungo la costa. Ma che mare è? Un misto del fascino della Sardegna, della trasparenza delle isole greche, o forse quello degli atolli del Pacifico. No questo è Pianosa, è mare che ti vuole bagnare con la sua acqua azzurra, è il silenzio che ti vuole cullare la notte sotto la volta celeste, è la natura che respiri ad ogni passo, è la storia dell’uomo che racconta di antiche gioie e dolori.
Oggi il Parco, nel groviglio delle competenze e della burocrazia cerca di trovare un filo conduttore che consenta di presidiare e far rivivere l’isola: turismo poco impattante, agricoltura biologica, fruizione controllata, la strada è lunga e tortuosa, forse Pianosa riuscirà a superare anche questa fase di incertezza.
La calda mattina di luglio ci regala un mare placido e immobile, pagaiare con il kayak verso punta del Marchese rappresenta un’esperienza esaltante che rimarrà impressa nella mente e nel cuore.
Lasciamo Planasia e facciamo rotta verso il Giglio. Che emozione toccare con mano che l’ingombrante relitto, mostruoso monolite arrugginito, non c’è più. Volutamente non sono mai approdato sull’isola durante la sua permanenza. Oggi è una gioia vedere libera l’isola, anche se restano alcune strutture per la pulizia definitiva dei fondali. Da quel gennaio 2012 sono passati 900 giorni per liberare l’isola: quella notte di follia e approssimazione, in cui ogni piccolo pezzo di un puzzle malvagio andava al suo posto.
Isola difficile e multiforme, chiusa e solitaria, mondana e intrigante, appassionata e conquistatrice. I suoi centri abitati reclamano ognuno uno spazio proprio, sono molto diversi uno dall’altro, lontani anni luce. La magia delle fresche serate di Giglio Castello, la mondanità sudaticcia e coinvolgente del porto, lo stile e il fascino della spiaggia del Campese. Ma, come spesso accade, l’entroterra regala le emozioni più intense e più forti, i panorami mozzafiato su tutto l’arcipelago, il profumo inebriante della macchia, gli antichi vigneti che offrono, grazie a giovani temerari, nuovamente il forte e deciso ansonaco. Grazie alla sua morfologia e alla composizione geologica, l’isola di granito propone ad ogni piccola insenatura un mare da sogno, con tutte le sfumature del blu.
Abbiamo un grande rammarico: terminare questo straordinario viaggio nel blu e nel verde, accarezzati dai dolci e morbidi tratti dei colorati disegni dei taccuini naturalistici dei nostri artisti, pubblicati di Lonely Planet, voluti dal Parco Nazionale, raccontano di Capraia, di Pianosa e del Giglio, e vogliono raccontare anche le altre sorelle isole. A presto!
15 luglio 2015 Giannutri e Giglio
E così. Una piacevole e gradita sorpresa: è un’impresa dall’Elba sbarcare su un’altra delle toscane, a meno che non si disponga di una propria imbarcazione. Ma con in collegamenti di linea è impossibile. Invece Giovanni ci accompagna. E’ così, i collegamenti tra le isole dell’Arcipelago Toscano sopravvivono con modalità effimere solo d’estate e, soprattutto, grazie alla buona volontà di alcuni barcaioli illuminati o alle buone pratiche di qualche istituzione pubblica.
Così il centro di questo Arcipelago – parafrasando il Metternich-, è una pura espressione geografica, l’Elba, non è per niente il fulcro da cui ricostruire la multiforme e ricchissima identità insulare. Non può offrire servizi e scambi alle sorelle più piccole, perché tra loro sono fisicamente separate, piccoli mondi che vivono ognuno la loro storia senza poter comunicare, se non molto sporadicamente. Solo in estate dall’Elba si può arrivare al Giglio (il mercoledì) e a Capraia (il venerdì) e tornare in giornata. A Pianosa, un pezzo amministrativo dell’Elba, più vicina alla grande sorella, fortunatamente, tutti i giorni.
Personaggi singolari gli isolani oggi, gente di mare antica profondamente trasformata dalle dinamiche del turismo. Le piccole comunità si sono arricchite di esperienze continentali, e molti hanno scelto le isole per viverci. Ma ancora trovi tracce dell’antica cultura insulare.
Ognuna delle isole più grandi vive appesa al suo porto a cui è collegata. Ma non c’entra nulla. Cosa ha in comune il Giglio con l’Argentario e Porto Santo Stefano, panorami urbani diversissimi, aspettative opposte. E Capraia con Livorno? Una piccola isola da 50 residenti e una grande città: mondi lontani. Come d’altra parte l’Elba non ha e non ha mai avuto niente in comune con Piombino, se non la tradizione industriale, ma anch’essa vissuta in contesti distanti anni luce.
Mah! Concludiamo il pippettone sui collegamenti con la speranza che domani… vedrai che cambierà!
Insomma con Giovanni in plancia, crucciato e arcigno, come tutti i genuini uomini di mare, navighiamo verso il Giglio. Una mattina limpida e tranquilla, caldissima, il mare oloeoso e placido sui cui, poco lamentose (al mattino) le berte volano a pelo d’acqua.
Eccoci arriviamo, con la nostra conquista! Non dobbiamo attendere domani per imbarchi e sbarchi, Giovanni ci accompagna a Giannutri dopo lo scalo per la discesa passeggeri al Giglio. “Vi accompagno io”, così sono gli uomini di mare, austeri e scostanti a volte, ma dal cuore grande.
Salutiamo il piccolo porto dai fari verde e rosso e navighiamo nell’assoluta patana luglierina verso Giannutri, penultima per dimensione delle sette isole toscane (2,6 kmq, 11 km di costa).
Navighiamo lentamente immersi in un caldo irreale, placido e pungente al tempo stesso che ricorda le memorie dei poeti più grandi che lo hanno percepito e cantato, “monotono altomare ma senza solitudine… Macina scogli, splende/E’ furia che s’ostina, è l’implacabile/sparge spazio, acceca mete/E’ l’estate e nei secoli/con i suoi occhi calcinanti/Va della terra spogliando lo scheletro.”*
Visione magica e inquietante di questa caldissima estate e, dal mare-olio e dal caldo opprimente, emerge all’orizzonte il basso e verde profilo dell’isola. Sbarchiamo a Cala Maestra, e subito i resti delle residenza patrizia (II sec. d.c.) ci colpiscono, anche se il richiamo maggiore è dato dal verde smeraldo dei fondali del romantico approdo.
Si percepisce il ruolo e il destino della piccola isola. Costretta ad offrirsi alle visite giornaliere delle tante minicrociere che approdano ogni giorno; dedicata a coloro che hanno la voglia e la fortuna di passare qualche giorno immersi nella sua ammaliante atmosfera; segnata dalla presenza di una natura possente con le sue magiche scogliere calcaree, il suo mare cristallino e i resti archeologici dei patrizi romani che ne furono i primi signori. Si fa fatica a spiegarla, a farla apprezzare fino in fondo, ma il suo contatto lascia la voglia di tornare. Nel delirio delle competenze e della burocrazia, il Parco dell’Arcipelago ha caparbiamente voluto la apertura al pubblico della Villa Romana e, anche qui, si cerca di trovare giuste modalità per far conoscere, divulgare e far fruire correttamente una dei gioielli del nostro mare.
Giovanni ci porta di nuovo verso il Giglio. Stavolta sbarchiamo e ci salutiamo. Cerco di immaginarmi le estati passate. Quelle con la nave proprio qui… di fronte a pochi metri. Anni irreali, dove tutto era falsato dalla sua presenza, in una dimensione artificiale. Nave o non nave i tre centri del Giglio sono sempre stati molto diversi tra loro. Banalizzando al massimo: il vero cuore è il Castello, ma è al porto che si passeggia o si decide è al Campese che si fa il bagno e ci si diverte.
Infatti ci regaliamo un bagno veloce a Campese e poi verso la collina, alla vigna di Michele. La sua campagna è un luogo pieno di fascino e di atmosfera; il frutteto curato con parsimonia e pazienza, la sua vigna, e i suoi apertivi al tramonto! Un bicchiere di ansonaco fresco e puoi gettare lo sguardo sui colori forti del sole che scompare lentamente, restare ammaliato dal fascino dei faraglioni, ammirare il profilo insolito di Montecristo, e le grandi montagne dell’Elba.
*G. Ungaretti. Sentimento del Tempo (Di Luglio / D’Agosto).