Sri Lanka, dicembre 2015

Sri Lanka, dicembre 2015

22 dicembre 2015 -19 gennaio 2016. Certo, inesorabilmente scorre il nostro tempo, noi registriamo gli eventi che accompagnano questa nostra avventura. Il lavoro, le amicizie, la famiglia, i nostri cari, ricordi splendenti e oscuri.

Ecco, così ancora una volta ci incontriamo con l’isola delle spezie, un “paradiso in cui non si può indugiare troppo a lungo” (C. G. Jung, In oriente).

Qui abbiamo le nostre registrazioni, da quel lontano (e tragico) 2004, sorprendente e avvolgente momento di conoscenza, ad oggi.  I nostri molteplici e Intensi momenti di incontro con l’oriente. Storie e persone, volti e gesti che si sovrappongo lungo il filo rosso della memoria. Vivere e toccare con mano l’evoluzione incessante dell’isola delle spezie, uscita con fatica da un conflitto violento, elemento dei giochi di potere delle élites, che ancora governano i destini dei venti milioni di abitanti. Il gioco del turismo funziona. Migliaia di occidentali che scoprono le spiagge da sogno, la natura esuberante, il fascino dell’esotico. Una scoperta che si trascina dietro, a partire dallo tsunami, l’aumento vertiginoso dei prezzi, l’occupazione poco intelligente della terra vista mare; le spiagge soffrono, immolate sull’altare dei servizi, del turismo di massa, dell’omologazione che distrugge l’essenza di una terra straordinaria, e banalmente offre a tutti la stessa cornice che, ovunque, il turista, può trovare, ormai, in ogni angolo del pianeta.

Abbiamo visto i nostri luoghi, quelli vissuti intensamente durante la permanenza sull’isola, trasformati: grandi cubi di cemento per ospitare i turisti, splendenti, avvolgenti ma banali. E’ qui che un po’, piano piano, si perde il fascino, l’essenza di questa terra che ancora conserva la magia di una delle più ammalianti espressioni della cultura orientale.

L’arrivo a Galawatta. E’ l’unico lembo della piccola e misteriosa spiaggia che conserva ancora integrità e pace. Le tre capanne sul mare, la bella casa, il fascinoso e curato giardino. Il resto invece no. Le palme,  gli spazi verdi, hanno lasciato il loro posto a camere, beach resort e tanti servizi per turisti poco consapevoli.

Unawatuna. The best beach in the country, come ti dicono all’arrivo in aeroporto i venditori su commissione, è divenuta uguale a altre mille spiagge e potrebbe essere ovunque. Soffocata dalla confusione, dal traffico asfissiante, dal cemento, ha perso molto del suo fascino esotico ed ormai si avvia ad una lenta decadenza. Il target turistico, di passaggio e alla ricerca del sole tropicale, potrà trovare qui stimoli e servizi, ma banalmente uguali a molti altri luoghi del mondo travolti dal fenomeno turistico di massa.

Rispetto a 10 anni fa, se osservi il traffico, avverti rapidamente che molto è cambiato. Poche biciclette, molti meno threeweels, sempre più auto enormi ed ingombranti. Un’ auto di media fascia costa moltissimo, circa 60.000 €. Quindi molti nuovi ricchi che grazie al turismo possono permettersene una. E questo per molti diviene un obiettivo: soldi, potere e status symbol. Come ovunque.

Il viaggio nell’interno regala, come sempre emozioni intense. Viaggio interiore che porta alla scoperta delle mille sfaccettature della realtà, quella di un paese mai visitato o quella individuale. Basta avere gli strumenti e l’atteggiamento giusto per poterla interpretare.

La maturità, poi, offre chiavi di lettura altre. Avverti un progressivo decadimento, non solo perché sei avanti con gli anni, ma perché, progressivamente e repentinamente, la nostra civiltà, salvo alcuni rari segnali di luce e di speranza, sta andando verso quella direzione. Gli allarmi che a partire dagli anni 60 le cassandre ambientaliste iniziavano a lanciare sono stati tutti, quasi tutti, lasciati cadere nel vuoto ignorati. Il riscaldamento globale del pianeta è un dato di fatto, l’esplosione demografica non fa più notizia, la perdita di risorse territoriali utili per l’agricoltura è irreversibile. A cascata tutti gli altri aspetti connessi, non meno rilevanti, megalopoli che divorano terra, inquinamento, rifiuti, scenari che 50 anni fa erano quelli del fiction fantascientifiche sono davanti ai nostri occhi a testimoniare una realtà oltre la realtà.

Questo paese, forse più di ogni altro luogo, rappresenta una paradigma evidente di tali cambiamenti devastanti. Dieci, undici anni fa, un appezzamento di terra lungo la costa di 1000 mq lo compravi con 20.000 € oggi ce ne vogliono 400.000. Il turismo, che in questo caso chiede standard medio alti, servizi e pulizie, è stato assecondato e buona parte della costa sud-occidentale è riempita con tutte le tipologie di strutture per l’accoglienza turistiche. Ciò porta ricchezza e benessere, ma solo ad alcuni, e produce effetti devastanti su tutto il tessuto socio culturale del paese. Altro che turismo dolce, sostenibile rispettoso degli equilibri ambientali e culturali dei luoghi.

Le case che abbiamo costruito con la nostra Associazione, l’Isola della Solidarietà, le prime, sono costate circa 3.500 € , l’ultima non siamo ancori riusciti a finirla, ma siamo già ad 9.000 €. Le famiglie ora stanno bene ed hanno la loro casa, un piccolo seme può germogliare in un deserto di omologazione, denaro e potere.

Sorprende che almeno qualcuno abbia conservato un po’ di umanità e di raziocinio. Lui, che critica la pratica di costruire ovunque sulla costa, distruggendo il profilo sinuoso della candide spiagge, il lucente e morbido paesaggio tropicale punteggiato dalle palme da cocco.

Tocchiamo con mano questo inarrestabile progresso; ecco il volto peggiore del turismo: porta con se semplificazione, depauperamento delle risorse naturali, perdita di identità culturale. Qui al sud, certo, ma anche tutta la linea di costa che guarda verso ovest. Cerchiamo nell’interno gli altri volti dell’isola, ricca di paesaggi vari e multiformi, di fiumi, laghi, colline, montagne, città antiche, giungla, parchi naturali, animali, morbide lagune, templi e monumenti espressioni delle diverse etnie e religioni.

Anche nell’interno il circo del turismo fa la sua grande parte. Nel caso di luoghi unici al mondo, come Venezia o Iguazù può essere corretto e comprensibile, serve solo una gestione attenta e stimolante.

2 gennaio 2016. Dalawella – Dambulla. Andiamo a Dambulla, templi rupestri scavati nelle grotte (patrimonio Unesco dal 1991). Dal moderno raccordo autostradale che arriva da sud e finisce nei pressi di Colombo, con la viabilità attuale ci vogliono, più o meno 5 ore. Anche Dambulla, come tutto il circuito delle città antiche, è segnato dal passaggio dei grandi flussi turistici organizzati, ma essendo, come molti altri siti storici del paese, sacro, è legato anche ad un flusso continuo di locali. Punteggiati di fasce continue di verde i viali che conducono al sito terminano nell’ampio parcheggio accanto all’ingresso. Di poco rilievo e in contraddizione con lo spirito del luogo, incontriamo l’eccessivo Golden Temple (molto recente, spesso si assegna il nome di Golden Temple a tutto il complesso) e un gigantesco Buddha in cemento, in prossimità della biglietteria, il Museo. L’accesso al Rock Temple si sviluppa attraverso un sentiero con gradini dal quale si aprono ampie vedute sulla pianura sottostante e (a circa 20 km) il profilo imponente e suggestivo della rocca di Sigirya.  Le cinque ampie e accoglienti grotte di Dambulla sono state utilizzate come luoghi di culto a partire dal I sec. a.C. e gradualmente sono divenute sede di comunità monastiche che le hanno impreziosite di affreschi e statue, (circa 150) fino al XX secolo. Misteriosi e stimolati gli affreschi, le morbide decorazioni dei soffitti e ammalianti le diverse sculture religiose. Molti visitatori locali in pellegrinaggio, molti turisti che affrontano il circuito culturale delle città antiche, molta confusione, ma il luogo emana energie e fascino che segnano l’anima.

Piove, molto decisamente, e solo in tarda serata troviamo da dormire un una piccola ed economica guesthouse a Sigirya, piccolo centro agricolo(1800 ab.) legato alla fama della roccia fortezza, in prossimità del punto di accesso al sito archeologico.

Prima però vado a visitare il Chaya Villa ad Habarana, bello e lussuoso in riva al lago, luogo immerso nella natura e patria degli elefanti, in prossimità del Minnerya National Park.

Inizia il repentino tramonto tropicale, sempre alle 18.20 cala il sole e già intorno alle cinque iniziano i colori del tramonto. Piove copiosamente e decisamente, le strade si allagano e la giungla trova la sua dimensione ideale fradicia di acqua, dono indispensabile per le sue verdi creature. La piccola e semplice guesthouse, trovata grazie all’amico di Tharanga che vive qui, ci accoglie avvolti da un clima quasi primaverile.

3 gennaio 2016 Dambulla – Sigirya – Polonnaruwa. Di buon mattino, la straordinaria Sigirya, (patrimonio Unesco) palazzo, giardini, fortezza, templi e conventi, toccò il massimo splendore sotto il regno di Kassapa nel 477 a.C.  Il sito fu abbandonato nel XIV sec. e fu scoperto solo nel 1898 dall’archeologo inglese H.C.P. Bell

Geometricamente ordinati e ineccepibili nella razionale divisione degli spazi, armoniosamente poetici nell’ornamentale verde di fiori e piante e nei canali, fontane e laghi, i giardini –RoyalGardens-, acquatici e rocciosi,  di Sigirya regalano pace e tranquillità. Molto ampi e accoglienti guidano ai piedi del maestoso monolite che accoglie la fortezza. Da qui inizia l’ascensione, di circa 40 minuti, attraverso spericolate gradinate, scale a chiocciola, gallerie, scavate nella roccia e spettacolari passaggi sospesi nel vuoto.

La prima sosta, prendiamo il fiato e vediamo i pregevoli affreschi, in ottimo stato di conservazione, (V. sec. a.C.) all’interno di due piccole grotte che raccontano le evoluzioni danzanti delle fanciulle concubine del re Kassapa, a cui la cultura locale assegna funzioni religiose. Poco dopo, lungo la galleria sospesa nel vuoto incontriamo il MirrorWall, alto circa 3 metri sul quale a partire da circa 1000 anni fa i pellegrini scrivevano (tra il VI e il XIV sec.)  impressioni e sensazioni legati alla sfera religiosa ispirati dalla visione delle sinuose fanciulle degli affreschi. I messaggi si sono sovrapposti ed è quindi difficile scoprire i più antichi, molto interessanti per lo studio dell’evoluzione della lingua, ma con un po’ di pazienza ed attenzione si riesce ad individuarne alcuni. Continua l’ascensione e si giunge ad una ampia piattaforma da cui si stagliano le possenti zampe della Rocca del Leone, termini che danno il nome al luogo, Sigirya, appunto. Secondo gli archeologi le zampe sono ciò che resta di una gigantesca scultura di un leone seduto, in pietra e in mattoni. La via  verso la sommità era segnata da una scalinata che passava tra le zampe e ne attraversava la bocca. L’animale rappresenta la forza e la potenza del messaggio filosofico religioso del Buddha: anche egli apparteneva alla tribuSakya – Simba (leone del clan Sakya).

Del maestoso palazzo che sorgeva sulla sommità restano solo le fondamenta, il luogo viene poi utilizzato come sede conventuale, sfarzoso e spettacolare monastero lanciato verso il cielo. Il panorama e la scenografia offerti dalla sommità della rocca è una delle forti emozioni che resteranno impresse nella memoria.

Lasciamo Sigirya. Attraversiamo un tratto del parco, costeggiando le rive del lago Minnerya, e dopo una sosta, in un nuovo e romantico ristoro tipico, sulle sue rive per il pranzo, ci dirigiamo verso Polonnaruwa.

Adagiata sulle sponde di ampi laghi e bacini artificiali la città regala intensi momenti di pace e serenità, se si escludono, ovviamente le trafficate vie principali e buona parte della città nuova. Quasi 20.000 abitanti che si concentrano nelle tre zone principali della città, la parte vecchia, segnata dallo spettacolare complesso archeologico e lambita dalle placide acque del bacino artificiale Topa Wewa, la città nuova e la trafficata zona di Kadaruwela.

Cala la sera, ci regaliamo qualche momento romantico al tramonto circondati da antiche mura, possenti stupa e armoniosi giardini, la mattina dopo completeremo il nostro giro. Cerchiamo da dormire e troviamo una piccola e semplice guesthouse, sulla strada principale ma non molto rumorosa, gestita da Leesha e dalla sua famiglia, molto gentile e disponibile offre anche le esaltanti interpretazioni della cucina locale, ma arriviamo troppo tardi per ordinare la cena.

4 gennaio 2016 Polonnaruwa – Trincomalee – Uppuveli – Batticaloa. Polonnaruwa, patrimonio Unesco dal 1982, è più recente dell’altra antica capitale, Anaradhapura e molto meglio conservata, diviene capitale del regno della dinastia Chola, originaria dell’India del Sud, soppiantando Anuradhapura. La nuova capitaleoffre maggiori possibilità difesa dal Regno singalese di Ruhunu. Nel 1070 però il re singalese Vijaabahu scacciò i Chola dall’isola e mantenne la capitale a Polonnaruwa, che raggiunge il suo massimo splendore sotto il regno di Parakramabahu (1153-1186).

Le aree archeologiche sono molto estese ed è opportuno dedicare almeno una giornata intera per la visita, spostandosi tra le diverse zone e al loro interno in bicicletta o con il tuk-tuk.

Facciamo la visita, accompagnati, ovviamente dal caldo tropicale, ma consolati dalla placida tranquillità del lago. La biglietteria si trova accanto all’ingresso del Museo dedicato al sito archeologico e alla storia della città. Entrambe costeggiano il lago, attraversando il piazzale si può accedere ad una porzione della zona visitabile (questa a ingresso libero) dove sono presenti i resti del Palazzo di Nissanka Malia e i bagni reali. Per accedere alle altre aree è necessario acquistare il biglietto (25USD) e spostarsi in direzione dei via principale. Qui visitiamo il complesso del Royal Palace e l’ampia area denominata il Quadrilatero. Stupa, templi e palazzi, giardini e fontane per le abluzioni, immersi nel caldo tropicale, accompagnano il nostro percorso, regalandoci intensi momenti di godimento, e l’emozione più intensa ci è data sicuramente dal sacro gruppo del GalVihara; tutte le statue provengono da un maestoso ed unico blocco granitico.

Qualche anno fa era possibile acquistare il biglietto cumulativo del circuito culturale delle città antiche con un notevole risparmio, purtroppo questa possibilità non esiste più e i visitatori non locali debbono pagare i biglietti di accesso ai diversi siti archeologici separatamente e molto profumatamente. E attenzione sono validi un solo giorno. Nel caso di Anuradhapura e Polonnaruwa è vessatorio, perché i siti archeologici sono molto estesi e non sempre si riescono a visitare un in una sola giornata. In sostanza paghiamo l’accesso a Polonnaruwa 3.500 rupie (Tharanga ne paga 50), entriamo alle 16 e restiamo fregati, alle 18 è buio. Leesha si rivela gentile e attento e ci accompagna la mattina presso gli uffici e riesce a farci entrare fino alle 12 utilizzando il biglietto acquistato il giorno prima.

Il fascino della città va ricercato nella combinazione di numerosi elementi, diversi e contrastanti, ma ve ne sono alcuni, indispensabili, per comprendere e vivere intensamente lo spirito del luogo.

Le acque, placide e tranquille del grande lago e dei bacini artificiali che costellano i nuclei urbani, impreziosiscono e raccontano romanticamente la città. Le straordinarie memorie storiche, i monumenti religiosi, i palazzi, le vestigia di mille anni fa: si coglie la straordinaria ricchezza culturale e il fermento della capitale dell’esotico e millenario regno. Tocchiamo con mano l’intensa atmosfera di un’oriente traboccante di luce e di caldo, di popoli religiosamente gelosi delle proprie tradizioni.

Torniamo verso Habarana, poco meno di un’ora di comoda strada, incrociando le incontaminate distese naturali del Parco di Minnerya. Ovunque fiori, verde, giungla, e tanti animali, scimmie, varani, pavoni, elefanti.

Ci fermiamo a fare visita ad alcuni conoscenti di Tharanga, stanno facendo i lavori di ristrutturazione nella loro casa ma trovano il tempo per mostrarci il processo di estrazione dalla canna da zucchero, questa zona è ricca di piantagioni.

Da Habarana verso est in direzione Trincomalee città ත්‍රිකුණාමලය (in singalese), திருகோணமலை (in tamil). La strada è in buone condizioni e in circa tre ore si giunge nel mitico porto di Trinco. Un suggestivo sistema di golfi, profonde insenature, baie e lagune che ha fatto di Trinco da sempre un avamposto strategico per il controllo dei traffici marittimi nell’estremo oriente. Non a caso è stato per i lunghi 20 anni della guerra civile una delle basi militari più importanti delle Tigri Tamil.

Il paesaggio cambia, cambiano molte cose e sembra di essere in un altro paese. Qui la cultura dominante è Tamil, la lingua, la cultura, le tradizioni sono molto diverse e la maggioranza della popolazione è di religione musulmana. Le donne sono bellissime, spesso coperte dal velo di tradizione islamica. Tharanga a fatica riesce a chiedere informazioni, la gente parla solo Tamil, l’inglese è poco diffuso e spesso si comunica male e solo a gesti. La citta è adagiata  frastagliata penisola che divide il protetto e ampio porto interno da quello esterno, su una delle lingue di terra che si protendono nel mare, l’imponente sperone roccioso accoglie il suggestivo Forte Frederick circondato da ampie zone versi popolate da cervi pomellati, realizzato dai portoghesi nel 1623 e poi ampliato dagli olandesi nel 1782. Sulla sommità della collina sorge il KoneswaramTemple, prima di giungere ad esso la parete rocciosa si apre su uno spettacolare scogliera (130 m.), la Swami Rock. Il tempio è uno dei cinque templi hindu dedicati a Shiva (PanchaIshwaram) destinati a proteggere l’isola dalle catastrofi naturali, ospita uno dei lingam più venerati dai pellegrini. Il tempio è di recente edificazione (1952) ma il luogo ospitava strutture religiose preesistenti dedicate al culto, già dal 300 d.C. Nel Ramayana si narra che Rawana, il demone dalle 10 teste, dopo il rapimenti di Sita (moglie di Rama) si reca sull’isola portando con sé lo Swayambhu, il lingam di Shiva, proveniente da una vetta tibetana, che divenne l’oggetto più venerato del tempio. Tutto il complesso fu raso al suolo dai portoghesi nel 1624 e il lingam precipitato nelle acque dell’oceano e solo nel 1962 fu recuperato.

Il KoneswaramTemple, nel favoloso e struggente scenario a picco sull’oceano, accoglie il lingam recuperato dalle acque, gelosamente custodito dai bramini, presenta una storia figurata del tempio, compresa la distruzione perpetrata dagli europei, e comprende alcuni spazi esterni, adagiati lungo la scogliera dedicati alle divinità hindu e un area votiva in cui le coppie in età fertile dedicano agli dei le loro offerte votive: moltissime miniature di culle e lettini appesi ovunque.

Facciamo una breve deviazione verso nord per vedere Uppuveli, noto per le sue candide spiagge, insieme all’altro villaggio Nilaveli, entrambi interessati da un graduale sviluppo turistico a partire dalla fine della guerra civile. Le spiagge sono belle e molto ampie, ma siamo nella stagione del monsone e quindi non danno il massimo del loro splendore e purtroppo lo sviluppo urbanistico è stato troppo aggressivo nei confronti della linea di costa.

Ci stiamo avviando verso il tramonto e decidiamo di scendere ulteriormente verso sud in direzione di Batticaloa. La strada, non sempre in buone condizioni e in alcuni tratti difficilmente percorribili per le continue piogge portate dal monsone e per gli allagamenti, corre lungo la costa offrendo in alcuni tratti ampi scorci della spiagge affacciate sull’oceano e sulle retrostanti pianure che spuntano dalle estese zone lagunari. Arriviamo a Batti a buio pesto e ci dirigiamo, ma ci fermiamo una trentina di km prima della città in prossimità di una delle due lunghe spiagge, Passikudahsi, che preannunciano l’antica città immersa nello scenario naturale delle spettacolari lagune.  Passiamo la notte accompagnati da una pioggia incessante, in una delle guesthouse in prossimità della spiaggia.

5 gennaio 2016. Batticaloa – Pottuvil – Arugam Bay – Whiskey Point. Circondato da lagune e mangrovie, adagiato ai bordi della bianca penisola di sabbia si erge il Batticaloa Lighthouse edificato nel 1913. Un luogo poco conosciuto, frequentato sorattutto da famiglie locali. Da qui si possono effettuare interessanti e romantiche escursioni in laguna, a stretto contatto con l’esuberante natura tropicale.

Visitiamo il Forte Olandese, che ospita uffici pubblici, a picco sulle acque della vasto sistema lagunare, semplice ma molto d’impatto. Realizzato dai portoghesi nel 1628. Ci immergiamo nella avvolgente atmosfera della città: suoni, colori, profumi e tanta animazione nel caratteristico mercato locale.

Scegliamo di percorre la strada costiera che da Batticaloa conduce verso sud, per interrompersi nell’area del Kumana National Park. Ci fermiamo a Pottuvil, animata città musulmana, anch’essa interessata da un vasto sistema lagunare, punto di accesso alle selvagge coste paradiso dei surfisti che si concentrano intorno ad ArugamBay. Ad est, in questo periodo dell’anno soffia il monsone, l’oceano è increspato e piove, condizioni non ottimali per i surfisti. Infatti molte guesthouse e quasi tutte le scuole di surf sono chiuse. Ma ci proviamo ugualmente e troviamo in prossimità di uno dei point break più famosi, Whiskey Point, un selvaggio tratto di costa dove alcune onde si possono prendere: i ragazzi si fiondano.

Restiamo una notte a Whiskey Point, in un bel complesso di cabanas sulla spiaggia con annesso un delizioso ristorantino. Siamo solo noi e una famiglia di olandesi.

6 gennaio 2016. Pottuvil – Okanda – Monaragala – Hambantota – Tangalle – Dalawella. Il giorno dopo rientriamo verso l’interno in direzione di Monaragala. Prima però ci concediamo la visita del MuduMahaVihara, antichissime rovine di un tempio buddhista. Sulla collina il nuovo tempio con il suo bianco e immacolato profilo si staglia sulle dune della lunghissima spiaggia.

Ci mettiamo in viaggio, ci attendono almeno 7 ore di strada, da Manaragala, attraverso animati villaggi e ampi tratti di giungla, scendiamo lentamente verso sud in direzione Hambantota, da qui siamo nuovamente sulla costa sud, ancora qualche ora per Matara e per la nostra casa ad Maharamba Road, Mihiripenna, Unawatuna.

D’obbligo dedicare la parte finale di un pomeriggio a Galle. Come sempre la città è immersa nel caos e nella confusione ma la zona del Fort rappresenta una vera oasi di pace, di ordine e di tranquillità, specialmente quando cala il sole. In questo momento inizia il flusso della gente verso le mura per cogliere il magico e intenso momento delle morbide luci del sole che cale sulle acque dell’oceano. Le mura (patrimonio Unesco) romanticamente si prestano ai giochi di luce. Le vie lastricate, gli eleganti negozi, le ricercate guesthouse, accompagnano il visitatore suggerendo sempre angoli nascosti di una città a due volti. Infatti Galle Fort vive come si fosse un’altra città dalla Galle frenetica e rumorosa oltre le mura.

La modernità, segnata dai suoi simboli, smartphone, copertura wi-fi, alberghi e ville di lusso, convive con i retaggi culturali di un popolo ancora fortemente legato a tradizioni antichissime e a stili di vita tipici delle società pre-industriali. In occidente ci stiamo chiedendo come rendere utile e sostenibile questa straordinaria invasione della tecnologia e delle reti, qui ancora dirompente è l’uso che se ne fa senza chiedersi se il fenomeno debba in qualche modo essere rielaborato culturalmente.

Uno degli aspetti evidenti della modifica degli stili di vita è quello offerto dai rifiuti. Il progressivo e dirompente fenomeno dello sviluppo turistico ha portato con se un aumento incontrollato della quantità complessiva di rifiuti prodotti. Anche nella tipologia, introducendo sostanze prima sconosciute. Una società abituata a riusare ogni piccolo scarto, in chiave sostenibile, dai rifiuti domestici alla carta, si è trovata di fronte a materiali diversi, soprattutto le plastiche. Prima piccoli fuochi riuscivano a smaltire le modeste produzioni domestiche, oggi grandi fuochi al tramonto bruciano plastiche e altri materiali producendo coltri di fumi inquinanti, ovunque l’odore acre delle esalazioni colpisce l’olfatto, e di giorno inevitabilmente i miasmi dei grandi cumuli di rifiuti organici e non accompagnano le ore più calde.

E’ difficile, a contatto con queste esperienze immaginarsi un turismo sostenibile, è facile chiedersi quale sia il senso del nostro viaggiare. E’ struggente e meraviglioso immergersi in uno spettacolo naturale o perdersi nella profondità di un sorriso di un bambino. La speranza: trovare il modo, tutti insieme,  per poter assistere ancora a questi spettacoli.

 

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